venerdì 30 gennaio 2009

Un costante pericolo la discarica di Gisirotta



Proprio un anno fa gli attivisti del movimento politico “Una Nuova Prospettiva” fecero l’inquietante scoperta di decine di bovini che pascolavano sulle colline di rifiuti della dismessa discarica di Gisirotta, brucando l'erba cresciuta sul materiale che ricopre gli stessi. Una Nuova Prospettiva denunciò il grave fatto, chiedendosi quali e quanti rischi potevano correre i cittadini consumando latte e carne, derivati da quell’allevamento.
L’ex discarica di Gisirotta, infatti, è rimasta attiva fino al gennaio del 2000 e non è mai stata oggetto di bonifica. Tra l’altro, i rifiuti venivano conferiti senza un pre-trattamento e pertanto eventuali sostanze tossiche e/o nocive sono ancora presenti e, oltre a costituire un serio pericolo per chiunque ne venga a contatto, costituiscono una seria minaccia per i due corsi d’acqua, il Tellaro e il Tellesimo, che circondano l’area a valle della discarica. A distanza di un anno non sembra sia cambiato molto nonostante esiste un progetto volto alla sua bonifica. Proprio in merito a tale bonifica, il consigliere provinciale di Sd, Ignazio Abbate, ha presentato, in questi giorni, un’interrogazione all’attenzione dell’Amministrazione Provinciale. «La messa in sicurezza in tempi celeri del sito dov’è allocata la discarica – evidenzia Abbate – ricopre, per il territorio di Modica e per la porzione di territorio ricadente tra i fiumi Tellaro e Tellesimo, una priorità imprescindibile per la salvaguardia ambientale e sanitaria. Alla luce del fatto che, anche a seguito dell’approvazione, nel Piano Triennale delle Opere Pubbliche, dell’emendamento della III Commissione, è stata variata la fonte di finanziamento dell’opera e lo stato di priorità della stessa, ho chiesto di conoscere lo stato di avanzamento dell’iter di finanziamento del progetto e quali sono i tempi previsti per l’inizio dell’opera».
Marcello Medica



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giovedì 29 gennaio 2009

Giorgio Scarso eletto vicepresidente FIE


Dopo la riconferma ai vertici della scherma nazionale, con la rielezione a Presidente della Federazione Italiana Scherma ottenuta appena qualche mese fa, continua per il Presidente Giorgio Scarso il cammino verso i vertici della scherma internazionale. Infatti domenica 25 gennaio 2009 è stato eletto vicepresidente della FIE (Federazione Internazionale Scherma) nel corso del primo incontro del 2009 del Comitato Esecutivo della Federation Internazionale d’Escrime svoltosi a Parigi e presieduto dal neo Presidente Alisher Usmanov.
Unitamente all’italiano sono stati eletti la romena Ana Pascu e il cinese Wei Wang, mentre l’ucraino Maxim Paramonov è stato nominato nuovo Segretario Generale e il britannico Peter Jacobs è stato confermato come Tesoriere. Al Presidente Scarso è stato affidato anche uno studio sull’abbattimento dei costi del video-arbitraggio e dell’apparecchio senza fili per le prove Grand Prix. Inoltre è stata assegnata a Palermo l’organizzazione del prossimo Congresso della FIE previsto per i giorni 21 e 22 novembre. Scarso ha commentato tale risultato con grande soddisfazione ritenendolo un grande successo non solo personale, ma di tutto il movimento che ne esce più forte e più responsabilizzato. Giunge così all’apice della propria carriera, iniziata a vent’anni quando entra nella scuola dei Sottufficiali dell’Esercito di Viterbo e, ottenuta la relativa promozione, viene trasferito alla scuola d’artiglieria di Bracciano per il conseguimento del brevetto di specializzazione, e continua con il corso per Istruttore Militare di Educazione Fisica presso la scuola Militare di Educazione fisica di Orvieto, dove nel 1969 viene ammesso alla frequenza del corso per Istruttore militare di scherma. La sua esperienza pluriennale lo porta ad agire anche nell’America latina, dove fonda la Federazione Salvadoregna di scherma, ma è nel 1984 che la sua carriera arriva ad un punto di svolta, con la fondazione di quella che oggi è la gloriosa Conad Scherma Modica. Nel 1992 con il grado di Maresciallo Maggiore Aiutante, Giorgio Scarso chiede di essere collocato in pensione per dedicarsi a tempo pieno alla scherma; il 2005 è l’anno della prima elezione come Presidente della FIS (Federazione Italiana Scherma) che ripaga il suo impegno rieleggendolo dopo il primo quadriennio con il 95% dei voti. Tali risultati ottenuti dal Presidente Scarso hanno permesso un grande sviluppo del movimento schermistico a Modica, dove la scherma è una realtà affermata ormai da qualche anno che sfodera promettenti allievi in grado di regalare grandi soddisfazioni all’ambiente sportivo locale e nazionale. I risultati conseguiti dal Presidente Scarso devono essere motivo di orgoglio non solo per il movimento schermistico nazionale, ma anche e soprattutto per quello locale, che affidandosi ad una figura carismatica ed esperiente come quella di Giorgio Scarso può ambire a raggiungere traguardi ambiziosi nel panorama schermistico internazionale.


Giovanni Lonico



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mercoledì 28 gennaio 2009

Marcello Medica interviene a Zapping. Internet: un dono per l'umanità ma a caro prezzo!


Intervento del presidente del comitato per i diritti del cittadino, Marcello Medica, lo scorso venerdì 23 gennaio, su Rai Radio1 all’interno della trasmissione radiofonica Zapping condotta dal noto giornalista Aldo Forbice. Medica, nel suo intervento, prendendo spunto dalla dichiarazione di Papa Benedetto XVI, il quale ha definito internet “un dono per l’umanità”, ha concordato con tale affermazione, evidenziando, però le difficoltà di accesso a internet soprattutto per gli elevati costi che i cittadini sono costretti a sobbarcarsi.
Intervento del presidente del comitato, Marcello Medica, lo scorso venerdì 23 gennaio, su Rai Radio1 all’interno della trasmissione radiofonica Zapping condotta dal noto giornalista Aldo Forbice. Medica, nel suo intervento, prendendo spunto dalla dichiarazione di Papa Benedetto XVI, il quale ha definito internet “un dono per l’umanità”, ha concordato con tale affermazione, evidenziando, però le difficoltà di accesso a internet soprattutto per gli elevati costi che i cittadini sono costretti a sobbarcarsi. Medica, in particolare, ha citato l’esempio del Comune di Soveria Mannelli (CZ) dove i cittadini hanno l’accesso a internet via antenna (Wi-Fi) completamente gratuito, affermando che ciò rappresenta un caso di democrazia avanzata contrariamente a quello che accade in quasi tutto il territorio italiano dove l’accesso a internet è a pagamento, costituendo dunque un indice di scarsa democrazia. Medica ha anche lanciato un appello al Governo nazionale perché prosegua sulla strada intrapresa dal precedente Governo Prodi in merito alle liberalizzazioni, vedi quella riguardante l’eliminazione dei costi di transazione per le ricariche dei cellulari. L’intervento di Medica è stato apprezzato soprattutto da uno degli ospiti della trasmissione, l’editorialista di “Libero” Marcello Veneziani, il quale ha evidenziato che: «Il caso di Soveria Mannelli rappresenta un esempio virtuoso dove il Sindaco, Mario Caligiuri, si è premurato di dare una tecnologia avanzata al suo paese e che oggi possa rientrare nei diritti e nella democrazia avanzata, anche, il dotare la cittadinanza della possibilità gratuita di accedere a internet».

Marco Giurdanella

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lunedì 26 gennaio 2009

E' nata l'associazione "Il clandestino"


E' nata l'associazione "Il clandestino" che fungerà da editore al mensile cartaceo che manderemo in stampa tra poche settimane. Finalmente un primo ostacolo è stato superato, ormai manca davvero poco ad avere un giornale che umilmente proverà a fare un'informazione libera e indipendente, fatta da giovani, come questo blog sta facendo. Vi terremo aggiornati sulla pubblicazione de Il clandestino (con permesso di soggiorno) in versione cartacea, sperando in un vostro contributo.

La redazione




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domenica 25 gennaio 2009

“Confessioni di un ribelle irlandese”


Brendan Behan
Giano editore 2003

Chi era Brendan Behan?
Uno scrittore?Un cantastorie?Un ubriacone?Un militante dell'IRA?Un avventuriero?
Un contrabbandiere?Uno spaccone?Un cavaliere d'altri tempi o un moderno Don Chisciotte irlandese?Per lui, in verità, l'unica cosa davvero importante era la sua personalissima idea di giustizia e di ideale da perseguire sempre con un tasso alcolico molto alto.

La sua vita irrequieta tra pub, bordelli e prigioni è costantemente innaffiata dalle immancabili pinte di birra scura e da svariati bicchieri di whisky, i quali confluiscono sempre in canzoni patriottiche e ballate popolari eseguite da Behan con estrema soddisfazione e compiacimento da parte di eventuali ascoltatori, siano essi secondini, imbianchini, avventori notturni, prostitute o preti e da tutti coloro i quali condividevano con lui l'amore incondizionato per il bicchiere sempre pieno, il dialogo,la lotta contro i prepotenti e la libertà assoluta come principio fondamentale dell'essere umano.
La sua appartenenza all'IRA (Esercito Repubblicano Irlandese) va intesa proprio per questo ideale altissimo di libertà e giustizia, ideale da perseguire non indietreggiando di fronte a nessuna sfida e restando sempre fedeli alla propria sensibilità. La lotta contro l'invasore inglese protestante nella libera terra d'Irlanda cattolica diventa la lotta di tutti i popoli oppressi per la propria autodeterminazione.
Brendan Behan fu anche un drammaturgo e un giornalista di successo sempre pronto a scandalizzare l'opinione pubblica e i “grandi intellettuali in giacca e cravatta, distinti e per bene” che ufficialmente erano i grandi uomini di cultura dell'Irlanda degli anni '60.Le due opere teatrali che conquistarono i palcoscenici più importanti in Inghilterra, negli Stati Uniti, in Francia e in Irlanda furono “The Quare Fellow” (L'impiccato di domani) e “The Hostage (L'ostaggio) e furono le opere che fecero conoscere Behan in tutto il mondo.
Il libro “Confessioni di un ribelle Irlandese” è un racconto onesto, vero, una imprevedibile e picaresca autobiografia piena di avventure e di vita, la birra scorre come un fiume in piena e le vicende si susseguono quasi senza respiro: di prigione in prigione, di pub in pub, scorrazzando dal sud al nord dell'Irlanda, Behan si ritrova clandestino in Inghilterra (dove è considerato persona non gradita) e da qui lo troviamo nei bistrò Parigini, in qualità di corrispondente dell'Irish Times, seduto a sorseggiare del vino in compagnia di oscuri individui discutendo di probabili rivoluzioni e di logiche proletarie, lo troviamo imbianchino in Irlanda del Nord a pitturare grandi fari che scrutano l'oceano e lo vediamo mentre nasconde bottiglie di whisky nella borsa degli attrezzi da imbianchino per portarle dal sud al nord dell'Irlanda, perchè nel nord occupato dagli inglesi il whisky costa troppo.
Lo troviamo ancora seduto su un trespolo in un pub di Belfast vestito da prete a concedere assoluzioni in cambio di whisky, e ancora lo possiamo vedere somministrare droghe eccitanti ai levrieri da corsa per guadagnarsi da vivere.
Il libro è, a dir poco, eccitante e da ogni pagina sembra uscir fuori l'autore stesso che con un sorriso beffardo cerca di trascinarti dentro la carta e l'inchiostro con la promessa di una sbronza memorabile e di una ballata irlandese cantata con il cuore.
Lo stile delle confessioni è assolutamente lo stile del racconto orale, infatti il testo non venne scritto ma registrato al magnetofono con l'aiuto di Rae Jeffs, un amico di Behan, poco prima della morte dell'autore per le sue precarie condizioni fisiche.
Per capire un po' meglio il personaggio in questione prendo in causa il direttore del carcere del Borstal in Inghilterra, luogo in cui Brendan Behan fu ospitato a soli 19 anni, in quanto militante dell'IRA. Il suddetto direttore in una lettera parla di Behan come una persona comunque profondamente religiosa e quando comunicò al nostro amico che il peso della scomunica religiosa si era abbattuto su di lui a causa della sua militanza nelle file dell'IRA, il nostro sempre più caro amico rimase profondamente turbato perchè si sentì perduto senza la consolazione della religione (anche se qualche anno dopo Behan doveva farsi un paio di bicchieri di roba forte per trovare il coraggio di andare a messa!).
Al direttore del Borstal un giorno, poco prima della sua liberazione, Behan disse che la sua seconda religione era la libertà d'Irlanda facendo intendere che quindi si sarebbero sicuramente rivisti loro malgrado. In verità tra loro restò una amicizia che durò molti anni. Per quanto riguarda la scomunica, sicuramente servì a Behan per creare un suo personale credo secondo il quale potè autodefinirsi un “cattolico anticlericale” o in seguito un “ateo diurno” nel senso che occasionalmente si rivolgeva ai conforti della religione nelle ore di sole.
Un umorismo estremamente intelligente pervade tutto il libro che in 389 pagine non annoia neanche per un secondo anche se a volte non si capiscono bene i tempi, ma questo è un difetto, secondo me, trascurabile in quanto, essendo un racconto trascritto da una registrazione al magnetofono, mantiene tutto il fascino della tradizione orale.
Negli ultimi anni della sua vita Brendan Behan era ossessionato dall'idea della morte e il tempo lo passò tra corsie d'ospedale, aule di tribunale e celle di stazione di polizia fin quando non si arrese definitivamente al suo destino.
Nonostante le sue condizioni fisiche peggiorassero precipitosamente, non abbandonò mai la sua ironia feroce, fin quando sul letto di morte rivolgendosi a una suora che lo accudiva disse sorridendo: “Dio ti benedica, sorella; che tu possa diventare la madre di un vescovo!” E con questa battuta il giovane ribelle Irlandese chiuse gli occhi e salutò il mondo.

Stefano Meli



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venerdì 23 gennaio 2009

I Minardo a Modica: petrolio, editoria, turismo e politica


A Modica chi non conosce la famiglia Minardo? Si proprio lei, la famiglia del petroliere, dell’imprenditore spuntato dal nulla “grazie alle proprie fatiche”, la famiglia dell’Onorevole Nino Minardo. Il gruppo familiare dei Minardo è senza dubbio una delle famiglie più importanti e potenti di tutta la Sicilia e soprattutto di quella Sud Orientale. I Minardo hanno le mani ovunque, nell’economia della città, nel turismo, nell’editoria e in politica; questi sono tutti poteri che vanno a braccio tra di loro, ognuno è indispensabile per l’altro. Se non c’è l’azione politica non ci può essere l’avanzamento economico, mentre se non c’è l’editoria e la pubblicità non ci può essere l’attività turistica. Dunque questa famiglia a Modica muove l’economia della città, ma in che modo? Forse “l’obbiettivo principale” è fare del bene verso i modicani, creargli posti di lavoro, forse è cementificare, costruire ovunque si vuole, far “girare” l’economia. Il Gruppo Minardo è a capo di alcune iniziative volte alla costruzione e alla creazione di siti turistici ricettivi, con precisione sono ben quattro. L’Albergo Gisirella Quattro Stelle, la cui autorizzazione è stata rilasciata alla società del gruppo Beauty Relax S.r.l., con sede a Modica in Via Resistenza Partigiana 55. A quest’ultima società è stata rilasciata anche l’autorizzazione per la costruzione dell’ Albergo Treppiedi Quattro Stelle. Altre due strutture ricettive dovrebbero sorgere in Contrada Ciarciolo Maganuco e in Via del Laghetto, entrambe le strutture nasceranno a Marina di Modica. Questa volta però le autorizzazioni sono state rilasciate alla società PortoSalvo2 S. r. l., dando vita al Villaggio Albergo Portosalvo Cinque Stelle e all’Albergo Itaparica Quattro stelle. Venendo a conoscenza di queste iniziative “economiche – turistiche – politiche – imprenditoriali” sorge una domanda: ma esiste una cosi ampia domanda destinata alle strutture ricettive, soprattutto di questo livello, nel nostro territorio? La risposta verrà sola. Per quanto riguarda l’attività giornalistica che produce il Gruppo Minardo ci sono diverse lacune. Tali “imperfezioni” sono date dal fatto che il gruppo che gestisce le attività televisive e d’informazione, essendo sotto le retini dei Minardo, come fa a produrre notizie e informazione libere da ogni gioco politico ed economico? Basta guardare alcuni servizi di Video Regione per capire come l’imparzialità, la correttezza e la libertà sono principi e valori da loro sconosciuti. Esiste una divulgazione informativa controllata e mirata al raggiungimento di determinati scopi legati alle attività della famiglia che affogano e uccidono la vera realtà. Rosario Minardo, l’ex bidello e adesso “u petrolieri”, sta mettendo su una vera organizzazione con fini ben precisi, cioè quelli di produrre sempre più profitti non guardando in faccia nessuno, non preoccupandosi di costruire e cementificare a ridosso delle spiagge. E’ nato un vero mostro. A tutto questo si aggiunge l’attività imprenditoriale petrolifera attraverso la gestione della Giap. Questa società oggi è presente su tutto il territorio nazionale, ma è nel territorio siciliano con più di 210 punti vendita che ha messo in risalto la propria leadership. L’attività, cominciata in provincia di Ragusa, si è oggi affermata in tutto il resto dell’isola, in Campania e in Calabria. Questa laboriosità ha avuto inizio negli anni ’70, periodo in cui Rosario Minardo si avvicinava alla commercializzazione di carburanti, ma che trova i primi (e forse gli unici) ostacoli di tipo burocratico a Palermo alla Regione Siciliana. Nel capoluogo siciliano l’intoppo che limita l’avanzamento di Minardo, si chiama Giovanni Bonsignore, il quale il 9 Maggio 1978 viene ucciso. Proprio in quel periodo, anche grazie all'accordo stipulato con Tamoli, la Giap esalta la propria forza. Ma come già accennato il potere caratterizzante della famiglia Minardo è anche quello politico, rappresentato dal figlio Nino. L’Onorevole è stato eletto alla Camera dei Deputati nella lista del Partito delle Libertà, dunque il filo che collega “l’impero Minardiano” con le stanze del potere è molto resistente.

Francesco Ruta

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giovedì 22 gennaio 2009

Auto blu, record mondiale all'Italia con 600 mila vetture


L'Italia ha conquistato un nuovo record mondiale per il proprio parco di auto blu, che ha raggiunto le 607.918 unità. È quanto emerge dallo studio condotto da Contribuenti.it - Associazione Contribuenti Italiani con “Lo Sportello del Contribuente” che ha analizzato il parco auto esistente, sia proprie che in leasing, in noleggio operativo ed in noleggio lungo termine, presso lo Stato, Regioni, Province, Comuni, Municipalità, Asl, Comunità montane, Enti pubblici, Enti pubblici non economici e Società misto-pubblico-private, Società per azioni a totale partecipazione pubblica. In soli due anni, in Italia, si è passati da 574.215 a 607.918 auto blu, un aumento del 6%. Dopo la legge del 1991 che limitava l'uso esclusivo delle auto blu ai soli Ministri, Sottosegretari e ad alcuni Direttori generali, si sono sempre proposte regolamentazioni e tagli, mai effettuati. La classifica dei paesi che utilizzano le auto blu vede oggi al comando l'Italia con 607.918 seguita dagli USA con 75.000, Francia con 64.000, Regno Unito con 55.000, Germania con 53.000, Turchia con 52.000, Spagna con 42.000, Giappone, con 31.000, Grecia con 30.000 e Portogallo con 23.000. «In Italia gli amministratori pubblici hanno superato ogni limite – sostiene Vittorio Carlomagno, presidente di Contribuenti.it - Associazione Contribuenti Italiani – Basterebbe una norma che stabilisse il limite di cilindrata delle auto blu per ridurre drasticamente il parco auto, sostenere le industrie automobilistiche italiane e incrementare l'utilizzo di prestigiose utilitarie italiane come la Grande Punto». Le cifre dello sperpero sono da record: servono oltre 18 miliardi di euro per mantenere questo esercito di auto blu tra stipendi di autisti, spese pieno e pedaggi, solo per tenerle pulite occorrono 11,4 milioni di metri cubi d’acqua. Anche la Sicilia cerca di non perdere il passo con l’andamento nazionale. Infatti, prima della fine della precedente legislatura è stata approvata una delibera, dall’ultimo Consiglio di Presidenza dell’Ars, con la quale si assicura agli ex presidenti dell’Ars eletti al parlamento nazionale ed europeo l’uso dell’auto blu in Sicilia.
Marcello Medica

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Trinakant: Musica per la Memoria


Storia. Memoria. Testimonianza. Impegno: ecco le parole-chiave sulle quali si fonda il progetto “Treno della Memoria”, giunto alla sua quinta edizione, al quale prenderà parte la band modicana Trinakant. Esso nasce con un intento educativo volto alla ricerca della nostra memoria e del nostro passato, così come il progetto della suddetta klezmer band che si ripropone di mantenere viva una tradizione musicale, peraltro poco conosciuta, di un popolo che più volte è stato privato della sua identità civile, morale e culturale. Le musiche vengono riarrangiate dai Trinakant in chiave etnico-jazzistica per permetterne l’ascolto ad un pubblico più vasto e presentano un carattere talora mesto, talora allegro che intende riassumere tutta la storia del popolo stesso. Dopo una prima esibizione a Milano, durante la quale sarà presente, tra gli altri, il Presidente della Repubblica Napolitano, i Trinkant si esibiranno al “Centrum Kultury Rotunda” di Cracovia durante la “Giornata della Memoria”. La band, scelta da una commissione costituita appositamente per la selezione dei gruppi all’interno del panorama musicale nazionale, avrà quindi il compito di rappresentare la nostra nazione poiché sarà l’unico gruppo italiano presente all’evento. I Trinakant hanno più volte preso parte ad importanti eventi a livello nazionale quali la collaborazione con il cantante Gianluca Merolli, le tournèe in Puglia e Calabria e la partecipazione alla realizzazione di spettacoli musico-teatrali con l’attore e regista Alessio Di Modica. La band è composta da Peppe Sarta (voce e fisarmonica), Sergio Spadola (batteria e percussioni), Salvo Puma (chitarra acustica), Sergio Battaglia (sax soprano e contralto), Carmelo Garofalo (clarinetto e voce) e Giovanni Blanco (contrabbasso). Il binomio tra musica e memoria sarà quindi l’elemento fondante di questa manifestazione perché tutti, attraverso –appunto- la tradizione musicale stessa, possano mantenere vivo il ricordo e vigilare al non ripresentarsi dei tristi errori commessi nel passato.

Chiara Scucces
Salvo Puma


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Zitti tutti. Parla solo Ciancio!


Mario Ciancio Sanfilippo. Un nome che non si sente spesso. Un silenzio che sa di potere quello che cela il nome di uno dei più potenti uomini della Sicilia. Infatti, Ciancio non è un personaggio qualunque, è il padrone dell’informazione in Sicilia.
Nasce a Catania, il 29 maggio del lontano 1932, è nipote del fondatore del quotidiano La Sicilia Domenico Sanfilippo, laureato in giurisprudenza nel 1955. La sua storia è una di quelle storie che parlano di interessi poco trasparenti, una storia fatta di silenzio e potere. Un potere non ostentato, un potere reale. Si potrebbe definire il Berlusconi del Sud, Mario Ciancio, a lui fanno capo il quotidiano La Sicilia, le emittenti televisive Antenna Sicilia, Telecolor e Video 3; le emittenti radiofoniche Radio Sis, Radio Telecolor e Radio Video 3. Inoltre ha degli stretti legami con i canali tv catanesi Telejonica e Rete 8 e la messinese RTP; i quotidiani Giornale di Sicilia, Gazzetta del Sud e La Gazzetta del Mezzogiorno. Ha inoltre partecipazioni in Mtv, La7, Telecom, Tiscali e L'Espresso/Repubblica. Stampa e distribuisce in Sicilia e nella provincia di Reggio Calabria i quotidiani nazionali. Poi per finire è pure vicedirettore dell’agenzia ANSA. Un buon imprenditore verrebbe da dire. Ma con la sua attività editoriale tutto si può pensare tranne che favorisca un’informazione libera e trasparente in Sicilia. Possiamo portare qualche esempio.
Vi siete mai chiesti perché non escono le pagine locali de La Repubblica nella parte orientale della Sicilia? Perché c’è un accordo tra Ciancio ed il giornale fondato da Eugenio Scalfari, ovviamente per tutelare le vendite dei giornali locali nelle mani di Ciancio.
Qualcuno ha mai letto il nome di Nitto Santapaola, boss mafioso catanese, nelle pagine de La Sicilia? No, o forse soltanto per dare con dovuto risalto la notizia di una sua assoluzione. O per ricordarne la morte del padre. O forse qualcuno ha letto il suo nome per la lettera, inviata dal figlio di Nitto, pubblicata, a mo di editoriale, da La Sicilia per lamentarsi delle condizioni del carcere duro.
È fare un’informazione corretta nascondere il nome e tutte le iniziative di un uomo che quotidianamente lotta contro la mafia come Claudio Fava? Quest’ultimo, sia da giornalista che da politico, a più volte puntato l’attenzione sull’attività di Ciancio, a più volte denunciato gli strani episodi che avvengono tra le pagine de La Sicilia. E’ lo stesso Ciancio ad escluderlo in uno sprezzante commento affidato al Corriere della Sera: “Fava m’insulta e io continuerò a opprimere ogni informazione che lo riguarda”. Claudio Fava ha ricostruito episodi a volte grotteschi, come l'avvio della campagna per le elezioni provinciali del 2003 che vedeva proprio Fava come candidato presidente per il centrosinistra. "Al primo atto di quella campagna partecipò anche Francesco Rutelli. Il giorno dopo non c'era una riga su quell'evento, ma in compenso c'era una lunga intervista a Rutelli su tutti gli argomenti della politica italiana ed europea, tranne la ragione per cui era venuto a Catania: l'inizio della campagna elettorale del sottoscritto". Recentemente La Sicilia ha tagliato chirurgicamente Claudio Fava dalla foto della consegna del Premio Giuseppe Fava, padre di Claudio, ucciso dalla mafia.
Questo è il padrone dell’informazione in Sicilia. Sembra che Ciancio provi un fastidio simile a quello dei mafiosi che in un anniversario della morte di Giuseppe Fava volevano uccidere davanti la lapide del padre Claudio. Fa riflettere un articolo pubblicato qualche giorno fa da uno dei più importanti giornalisti siciliani, Riccardo Orioles, fondatore con Giuseppe Fava de I Siciliani, in cui si diceva che i migliori amici di Ciancio siamo noi. “Gli amici di Ciancio? Siamo noi. Facciamo ottimi siti, giornaletti e giornali, avremmo le forze per fare un'informazione non inferiore alla sua (specie ora che c'è internet), ma ci ostiniamo a restare ognuno per sé, senza osar fare il salto di qualità, il “tutti insieme” che ci consentirebbe di cambiare Catania da così a così”. Non penso si riferisse solo a Catania, non penso che nella nostra provincia, nella nostra città, non ci sia nessuno che ostacoli un informazione libera e indipendente. Anche da noi c’è bisogno di unità.

Giorgio Ruta


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martedì 20 gennaio 2009

I clochard in tempi di crisi


La crisi economica è ormai duratura, i suoi effetti avranno ripercussioni per ancora molto tempo nella maggior parte degli Stati tra cui, ovviamente, l'Italia. La bolla si è rotta di nuovo, la finanza non è la realtà e qualcuno se n'è accorto; tuttavia, miliardi e miliardi sono stati stanziati a favore delle banche, i manager sono salvi e tutti i normali cittadini ne pagano felicemente le spese.
L'Italia è in recessione, Berlusconi non ci crede e Tremonti (Ministro dell'Economia) sembra ne capisca meno di tutti. Il Pil non cresce e saremo presto fuori dai limiti di Maastricht.

C'è crisi, ma non abbiate paura! Bisogna acquistare: comprate, che la crisi passa. Non avete i soldi? Con la social card si risolve tutto: qualche giorno fa una gaia giornalista del Tg5 ha annunciato che, per fortuna, il settore del lusso non è in calo, anzi! All'ultimo salone dell'automobile in Germania i nuovi modelli sono stati presentati, fatevi avanti.
I centri commerciali sono sempre aperti, le commesse ansiose di aspettarvi, i saldi veramente ottimi! Scarpe, borse, accessori, jeans: tutto a metà prezzo, dopo averlo prima aumentato.
Anche il settore della moda, delle grandi firme, non conosce soste: ah, l'arte, dovremmo darci tutti a quella. Nel frattempo Giorgio Armani se la prende con Dolce&Gabbana, accusandoli di plagio. Capita in tempi di crisi.
Il Manchester City vuole comprare Kakà dal Milan sborsando 120 milioni di euro per la società e 15 per il giocatore: Maurizio Mosca ha definito l'offerta una delle “follie” del calcio. Ah, se non ci fossero...
Una recente ricerca negli Stati Uniti ha dimostrato che le donne hanno orgasmi migliori con uomini ricchi: economia monetaria e prestazioni sessuali, un nesso imprescindibile?
Ma dov'è questa crisi? Un'altra invenzione dei soliti comunisti che ce l'hanno con i governi? Una scusa degli operai fannulloni che sono stati licenziati?
I manager continueranno a spostarsi in Suv, Armani proporrà la nuova moda primavera-estate, le donne cercheranno uomini migliori per orgasmi ricchi, le commesse saranno sostituite da automi che non pretenderanno contratti sindacali. Bene.
Ieri, nella nostra benedetta e favolosa società civile, un altro clochard è morto su una panchina. Freddo e fame sembrano essere state le cause principali. Ma dove, negli arretrati paesi musulmani?
No, a Milano. Poco tempo fa, a Rimini, ricorderete come si è cercato di bruciarne uno vivo.
Solo che ormai la parola clochard sembra quasi una griffe piuttosto che il sinonimo di senzatetto: ovvero ” Chi non ha tetto, casa, alloggio in cui ripararsi” recita lo Zingarelli.

Rosario Di Raimondo



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venerdì 16 gennaio 2009

Occhio che non vede, Fava che non duole!


Che il quotidiano “La Sicilia” non sia proprio quel luogo dove il binomio libertà – informazione costituisca il perno del giornalismo nostrano lo si era già vagamente intuito da tempo; ma la vicenda riguardante la censura di Claudio Fava sul giornale di Ciancio, riportata, tanto per cambiare, solo da pochi organi di informazione come l'Unità e itacanews, non può che destare ulteriore sconforto.

Pochi giorni fa si è commemorato l'anniversario dell'omicidio di Giuseppe Fava, giornalista ucciso dalla mafia 25 anni fa, una delle tante vite spezzate a causa di una passione, un sogno: ricerca di libertà e fuga dall'omertà dilagante, fare del vero giornalismo al servizio di tutti. Ebbene.
La Fondazione Fava, presieduta dal figlio Claudio, ha a tal proposito organizzato un incontro per ricordare il giornalista scomparso; tra gli ospiti presenti spiccavano le figure di Carlo Lucarelli, premiato dallo stesso Fava, Roberto Natale e Pino Maniaci.
Evento significativo, importante e, dunque, censurato da “La Sicilia”. Come mostra la foto, di Claudio Fava non resta che una piccola parte del ginocchio, mentre nell'articolo di Sergio Sciacca non compare neppure il suo nome. Censurato.
Il sito itacanews, diretto proprio da Fava, ironizza sull'accaduto(che altro resta da fare?); non più “Claudio Fava”, ma “The invisible man”: c'è ma non esiste, si sente il suo nome, come una leggenda, ma non fateci caso, è un'illusione ottica. Si dice che si occupi di mafia, sia da giornalista che da politico; si dice che metta il dito (o meglio, la penna) nei rapporti di potere catanese; è una eco, un nome pronunciato distrattamente o sbadatamente, erroneamente, ecco. Solo un errore può giustificare la citazione dell'innominato innominabile, The invisible man.
Ma di chi si tratta? Claudio Fava? Boh, mai sentito nominare. Io, comunque, avanzerei una proposta: invece di chiamarlo “La Sicilia”, consiglierei a Ciancio di nominare il proprio quotidiano “Una parte della Sicilia”. Ed il sottotitolo: “Solo quello che vogliamo farvi vedere”.

Rosario Di Raimondo


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mercoledì 14 gennaio 2009

Calcio a 5 in crisi, a farne le spese anche il Pro Scicli


Sabato 27 dicembre 2008 è una data da ricordare per tutti gli appassionati di calcio a 5 e per i tifosi del Pro Scicli Caffè Moak. Infatti per la prima volta nella storia del futsal in Italia non sono state disputate due partite della stessa giornata nella massima serie per l’assenza di una delle due contendenti, e in uno dei due casi l’assenza era proprio quella della società sciclitana. Come previsto la società del presidente Vindigni è stata multata di 1.100 €, ha subito la sconfitta a tavolino con il punteggio di 6-0, è stata penalizzata di un punto in classifica ed è stata costretta a versare un compenso di 4.200 € nelle casse della società sfidante, il Bisceglie, per le spese sostenute per assicurare la regolarità dell’incontro. Tali avvenimenti sono da attribuire ai gravi problemi finanziari che hanno portato allo smantellamento della rosa del Caffè Moak che durante il mercato di Dicembre ha venduto tutti i propri giocatori mantenendo di fatto in squadra solo 3 elementi e affrontando le partite successive con i ragazzi dell’under 21. Tutto ciò lascia a dir poco perplessi se si pensa che solo lo scorso anno il Pro Scicli esordiva nella massima serie e che da neopromossa la società iblea prese parte alla “final eight” per l’assegnazione del titolo. La situazione però va inquadrata in un contesto nazionale dove è l’intero movimento del calcio a 5 ad essere messo a rischio dalla mancanza di fondi dovuti alla scarsa visibilità a disposizione dello stesso, nonostante il grande sviluppo degli ultimi anni abbia portato ad una irrefrenabile sud americanizzazione sia a livello di club che a livello di nazionale. Si parla di limitare l’utilizzo dei giocatori oriundi e di creare e potenziare i settori giovanili, al fine di limitare i costi gestionali, così come c’è chi attribuisce le colpe alla scarsa visibilità mediatica di cui dispone il calcio a 5, e reclama posizioni di rilevanza sul fronte mediatico-informativo, affinché anche il futsal diventi uno strumento di commercializzazione affidabile e produttivo. Tra pochi mesi si svolgeranno le elezioni dei vertici federali; probabilmente sarà l’occasione per voltare realmente pagina e per cercare di migliorare un sistema che vede ogni anno la “caduta” di qualche squadra a causa dei costi esorbitanti per il mantenimento delle società nella massima serie. Per i tifosi sciclitani, e per tutti gli iblei, rimane il rammarico per una favola nata solo lo scorso anno e già destinata a terminare in questa stagione, con il Pro Scicli che si avvia verso la retrocessione in serie A2. Forse una gestione più oculata delle risorse economiche della società avrebbe potuto evitare questa spiacevole situazione, ma probabilmente senza tali “eccessi” non si sarebbe mai arrivati a vivere le emozioni della massima serie; per cui tali sensazioni contrastanti non cancellano i dubbi su una stagione che poteva andare diversamente e che già a metà risulta irrimediabilmente segnata, e lasciano l’amaro in bocca a chi già pregustava, dopo le prodezze della scorsa stagione, un Caffè Moak in lizza quest’anno per la conquista del titolo.

Giovanni Lonico

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Chissà che succederà


Attualmente lo scenario politico italiano appare tutt’altro che pienamente rappresentativo e stabile infatti, per la prima volta nell’Italia repubblicana, in parlamento non sono presenti quelle forze comuniste e socialiste che hanno caratterizzato la storia e l’evoluzione politica italiana e non solo. Tuttavia a destar maggior sconforto, vi è il fatto che al momento noi tutti italiani, non solo abbiamo un presidente del consiglio volto a far politica più sull’immagine, ed i propri interessi che alla risoluzione delle gravi problematiche che colpiscono le famiglie, il lavoro e, più in generale l’ambito socio-economico, ma abbiamo anche un’opposizione, che a mio modo di vedere, non è in grado di svolgere in modo sereno e fruttuoso le proprie azioni. L’attuale opposizione presente in parlamento, formata da UDC, Italia dei Valori, e PD appare infatti molto frammentata e soprattutto poco credibile e propositiva. Infatti è assurdo come il partito di Casini possa ad esempio dare pareri sfavorevoli a parti e mezzi del programma politico Berlusconiano quando, in vari comuni, province, e regioni sono al governo o all’opposizione insieme, tenendo in considerazione inoltre che sino al 2006 erano insieme anche al governo nazionale e Casini era tra l’altro Presidente della Camera. E’ altrettanto assurdo ed incredibile come Di Pietro, leader dell’Italia dei Valori, possa far politica sul senso di responsabilità, sul senso di civiltà e sul senso di legalità e poi, quando si trova in una situazione in cui il figlio viene indagato, lui il fautore della buona giustizia, non prende provvedimenti, non prende nessuna posizione, anzi cerca di giustificare il proprio figlio sostenendo tesi illogiche e prive di fondamento. Ed infine il Partito Democratico, partito nuovo, che ha tratto le sue fortune dal fatto che circa il 30% degli elettori della sinistra radicale, alle scorse elezioni politiche, credendo a ciò che è stato decantato da Veltroni in relazione al voto utile, lo hanno votato, ad oggi ha svolto un’opposizione legata essenzialmente al contrasto e non propositiva, anche perché non è poi tanto slegato ed indipendente dai poteri forti. Se si considera tutto ciò si mette in evidenza, da un lato una sconfitta del Partito Democratico che invece di prendere consensi al centro (questo era infatti l’obiettivo, almeno quello espresso pubblicamente) li ha presi a sinistra; e dall’altro lato che in prospettiva futura, per l’elezioni europee, rimanendo così la legge elettorale, il PD non solo dovrà far fronte al problema della collocazione a livello europeo, che potrebbe portare a scissioni viste le diverse visioni all’interno del partito, ma potrebbe anche rischiare di ottenere consensi inferiori al 30% su base nazionale, non avendo a disposizione il voto utile, e di conseguenza far diventare il progetto democratico non più credibile visto che si parlava di un partito del 35%. Per quanto concerne invece, il futuro della sinistra italiana, quella attualmente non presente in parlamento, ma presente con i propri rappresentanti a livello locale, le alternative sono due: la riunificazione comunista proposta dai Comunisti Italiani e da Ferrero; o una costituente di sinistra, tesi avanzata da Vendola, da Sinistra Democratica, e dai Verdi. In generale, qualunque sia la proposta che prevarrà, o qualunque scissione ci sarà, perché è molto probabile che si attueranno entrambe le alternative, l’unica strada da seguire sta nell’attuare un maggior radicamento nel territorio, e nel rendere credibile, efficiente ed efficace un programma di vera politica sociale. Dunque si tratta di ricostruire una sinistra come grande forza di politica sociale, basandosi su proposte ed idee reali, ripartendo da quanto fatto sino al 2006. Bisogna fare tutto ciò tenendo in considerazione che è possibile riuscire a raggiungere tale obiettivo, perché non bisogna dimenticare che Berlusconi non ha vinto l’elezioni grazie al consenso che ha avuto da parte della popolazione più agiata, ma è riuscito a vincere con tali proporzioni soprattutto grazie al consenso decisivo che ha ricevuto da parte della popolazione che si trova in una situazione di disagio e quasi povertà, contesto che la sinistra dovrà attentamente valutare, ed a cui dovrà porre un rimedio serio e credibile.

Federico Scirpa

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martedì 13 gennaio 2009

Pubbliche affissioni a Modica: chi controlla?



A Modica la situazione delle pubbliche affissioni è veramente pessima, chiunque può affiggere un qualsiasi manifesto, di qualsiasi dimensione e con qualsiasi contenuto, senza pagare alcuna tassa. Cosa ancora più grave, è che molti non si fanno scrupoli sul dove affiggere i propri manifesti ed è cosi che troviamo i muri della nostra città “violentati” da ogni tipo di pubblicità e di evento. Basta girare per pochi chilometri e si possono notare le migliaia di manifesti occupare gran parte dei muri di edifici privati, pubblici o di pannelli dedicati alla sola comunicazione del Comune. Tutto ciò è facilitato dal mal funzionamento degli organi preposti al controllo e alla repressione di tali comportamenti, in cui c’è il risparmio da parte dei titolari dei manifesti, ma soprattutto è notevole il danno che si arreca all’estetica della città e alle casse del Comune di Modica, dal momento in cui si evade dal pagamento della tassa delle pubbliche affissioni. All’interno del Corpo dei Vigili Urbani di Modica c’è un settore preposto al controllo di questo fenomeno, ma la sua attività è insufficiente, se addirittura non totalmente inefficace. L’individuazione dei mittenti di tali manifesti non è difficile da rendere nulla l’attività degli organi preposti, ma probabilmente è nullo il senso di dovere di questi, i quali stanno dimostrando di non avere a cuore la città, il rispetto verso di essa e soprattutto non hanno a cuore il rispetto delle leggi. Esistono ditte che da un anno circa, costantemente e senza alcuna difficoltà, commettono ripetutamente lo stesso reato. Tra queste c’è l’Agenzia di Pompe Funebri di Raffaela Palladino, il quale con il messaggio “Basta con il “caro” estinto”, da più di un anno indisturbatamente inquina Modica. Questo è uno dei casi più gravi, per il quale non si può continuare a far finta di non vedere da cosi tanto tempo, per il quale è ora di dare una svolta decisiva nel campo delle pubbliche affissioni, per dare dignità all’estetica della nostra città e per fare entrare un po’ di liquidità nelle casse dell’ente comune. Rimanendo sempre in questo settore, è importante ricordare il degrado in cui versano puntualmente le città durante le campagne elettorali, in cui i “nostri” politici, anch’essi senza alcun problema e soprattutto scrupolo, danno un contributo notevole all’aumento dell’illegalità. Nel Comune di Vittoria, grazie al consigliere comunale Peppe Cannella della lista “Bella Ciao – Rifondazione”, qualcosa sembra che stia andando nel verso giusto, infatti il Sindaco, in seguito ad un’interrogazione del consigliere, si è detto interessato a procedere nei confronti dei quali hanno affisso manifesti elettorali abusivi, direttamente e indirettamente. Molti modicani sperano che anche a Modica qualcosa in questo settore cambi direzione, la città è stanca di vedere tutto questo scempio, senza che i colpevoli siano colpiti, che siano imprenditori, politici o commercianti.

Francesco Ruta

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venerdì 9 gennaio 2009

“Chi ha paura muore ogni giorno”. Giuseppe Ayala ci racconta i giorni con Falcone e Borsellino


“Chi ha paura muore ogni giorno” è il libro scritto da Giuseppe Ayala, il componente del pool antimafia di Palermo che negli anni ’80 rappresentò l’accusa nel maxiprocesso a Cosa Nostra. Ayala ripercorre, con estrema passione, l’esperienza con Falcone e Borsellino. Un’esperienza ricordata soprattutto dal punto di vista umano. Tanti gli aneddoti divertenti sui membri del pool antimafia. Ma da questo punto di vista si ripercorre una parte della storia della mafia e della lotta alla mafia. Una lotta che tanti uomini, delle istituzioni e non, hanno combattuto molte volte senza lo Stato dietro.
“Lo Stato non ha ancora voluto giocare fino in fondo questa partita” afferma Giuseppe Ayala e dalle sue espressioni trapela tutta la passione e la rabbia di chi ha sacrificato parte della vita a contrastare la mafia e di chi a visto morire gli amici con cui aveva condiviso questo duro percorso. Il giudice Ayala ha tante cose da dire sulla mafia, come si accorgerà chi avrà il piacere di avere tra le mani il suo libro, e un po’ di cose c’è le dice tramite le pagine de Il clandestino.
Da cosa è nata l’esigenza di scrivere questo libro?
Io lo avevo in testa, e forse più nel cuore che in testa. Quando ho finito l’esperienza da parlamentare e sono tornato a fare il magistrato è scattato un meccanismo che mi ha fatto rivivere l’esperienze avute. Questo mi ha fatto venire la voglia di scriverlo, ma onestamente era da tanto tempo che ci pensavo.
Prendendo spunto dalla cancellazione del nome di Pio La Torre dall’aeroporto di Comiso, che valore ha per lei la memoria?
Questo è un problema che riguarda i comisani, io non mi mischio in questa scelta. So che vogliono ripristinare il vecchio nome dell’aeroporto, non ne vogliono inventare un altro. Mi auguro che questa città non si dimentichi di Pio La Torre. Non c’è dubbio che la battaglio contro i missili sia stata una concausa della sua uccisione. Ripristinare il vecchio nome dell’aeroporto è una scelta dei comisani, mi auguro che il sindaco faccia questa scelta interpretando i sentimenti di questo paese.
Non pensa sia importante ricordare gli eroi della mafia come Falcone, Borsellino, Impastato e anche Pio La Torre?
Non c’è dubbio e La Torre è una delle vittime della mafia. Ovviamente non si può fare una gerarchia delle varie vittima, ma che è uno che ha sacrificato la propria vita per una battaglia di civiltà e democrazia è fuori discussione. Penso che la città di Comiso se dovesse ripristinare il vecchio nome dell’aeroporto saprà come ricordare Pio La Torre.
Una domanda difficile, che ricordo ha di Falcone e Borsellino?
Ho un ricordo di un’esperienza umana, prima ancora che professionale, che si è conclusa tragicamente ma che è stata straordinaria. Sono stati dieci anni che hanno riempito la mia vita. Negli anni più importanti, quelli in cui un uomo realizza, davvero, se stesso. Io ho conosciuto Falcone che avevo 36 anni e quando loro sono morti ne avevo 47 anni. Questo periodo lo abbiamo vissuto assieme. Mi ricordo, in particolare, lo straordinario privilegio che mi è toccato lavorando con tutti e due, in particolare, con Falcone con cui facevamo anche le vacanze assieme. È stata una specie di convivenza di fatto la nostra e ho imparato moltissimo, e non mi riferisco al lato professionale ma al fatto umano. Falcone è un uomo che mi ha cambiato la vita.
Quale è il suo giudizio sull’operato del governo nel campo dell’antimafia?
È un governo che c’è da poco, non ho nessun giudizio da dare. In generale, lo spiego anche nel libro, aspetto che lo Stato cominci a giocare fino in fondo la partita contro la mafia. Io ancora questo non l’ho visto, a prescindere dal colore di chi è al governo.
Dopo l’arresto di Provenzano e Lo Piccolo, in che stato è la mafia?
Si va imborghesendo sempre di più, è diventata più subdola e pericolosa. Si sta restringendo l’area di mediazione, di collusione perché, ormai, esponenti della mafia siedono direttamente nei posti di potere. Io non partecipo alla gara di chi vuole stabilire se la mafia è più forte di ieri, o viceversa. Non me ne importa niente, il mio problema è che la mafia esiste ancora e non vedo vicino il giorno in cui verrà sconfitta definitivamente. Si è chiuso il ciclo di quelli chi i palermitani chiamavano i “viddani”, cioè Riina e Provenzano, sanguinari da morire, come mai nella storia della mafia. Questa fase si è chiusa e si è aperta un’altra fase. Da quindici anni la mafia non ammazza più, che è un dato che va ricordato e anche in maniera positiva: per fortuna non ammazzano più. Sono tornati ad una vecchia strategia, quella della clandestinizzazione, dell’inabissamento ma continuano ad essere presenti e condizionano le scelte economiche, politiche, burocratiche non solo siciliane. È un fenomeno simile a quello che si è verificato negli Stati Uniti una ventina di anni fa. I figli hanno studiato, si sono laureati, i capitali accumulati sono stati riciclati e quindi il colletto bianco ormai è mafioso. Non sempre, ma spesso.

Giorgio Ruta

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martedì 6 gennaio 2009

Silenzio in aula, c'è Sgarbi!


Chiedersi se la libertà di opinione e di espressione sia oggi rispettata in Italia è ormai una futilità che possiamo anche tralasciare. Verificare e denunciare i casi in cui ciò avviene è invece più concreto: gli esempi, per sfortuna, sono all'ordine del giorno e non si può fare a meno di restare sgomenti dinnanzi a vere e proprie censure che non ci rendono liberi. L'ultimo caso è accaduto a Salemi, comune del trapanese, che sarà ben orgogliosa di avere come primo cittadino Vittorio Sgarbi, famoso più per le risse osannate dalla nostra tv-spettacolo nazionale che per le sue doti politiche. Pochi lo sanno, ma “il più grande trasformista d'Italia”, definizione attribuitegli per essere stato anarchico, comunista, socialista, liberale, radicale, forzista (et cetera...), oltre ad una condanna per truffa aggravata e continuata ai danni dello Stato(6 mesi e 10 giorni di reclusione) è stato condannato per diffamazione in primo e secondo grado. Contro chi? Contro il giudice Caselli, magistrato ed ex capo del pool antimafia, coinvolto, secondo Sgarbi, nell'omicidio di Don Pino Puglisi. Tali esternazioni, lette in tv in base ad una lettera anonima, si rivelarono false, ma il sindaco del comune siciliano non scontò la sua condanna perché, come spesso accade nel perverso tunnel della giustizia italiana, il reato andò in prescrizione prima che potesse decidervi in merito la corte di Cassazione. Bene. Durante una conferenza di qualche giorno fa nella stessa Salemi, un giovane, Giuseppe Gatì, si è fatto spazio tra la folla è ha urlato a Sgarbi questi due fatti, inneggiando soprattutto a favore di Caselli e dello stesso pool antimafia. Tra l'indifferenza generale, le reazioni sono state ovviamente violente; il giovane è stato strattonato, allontanato e chiuso in una biblioteca da un vigile urbano per ore; dopo di che gli è stato detto: “Devi capire che ti sei messo contro Sgarbi, che è stato onorevole e ministro…”. A buon intenditore... Se volete farvi un'idea il tutto, fortunatamente, è stato ripreso mediante una videocamera da una amica di Giuseppe ed il video è reperibile sulla rete, ad esempio su liberiesenzapadroni.blogspot.com . È il mondo alla rovescia: pregiudicati che fanno politica, giudici che non giudicano, voci contrarie che vengono subito zittite o, comunque ostacolate. Ben più grave è il silenzio, il silenzio di tutta quella gente che, nel caso in questione, era lì seduta ad osservare quello strano esibizionista che per balzare agli onori della cronaca sbraitava contro un sindaco, un'istituzione! E, se il silenzio non viene rispettato, lo si deve ottenere. “Povera patria, schiacciata dagli abusi del potere, di gente infame che non sa cos'è il pudore, si credono potenti e gli va bene quello che fanno e tutto gli appartiene...”.

Rosario Di Raimondo


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venerdì 2 gennaio 2009

Dietro il delitto Spampinato, Cosa Nostra. È questo l’esito dell’ultimo libro inchiesta di Carlo Ruta


La mafia a Ragusa esiste? Questa è la domanda che, in modo ricorrente, attraversa l’anima del giornalista, dello scrittore, del sindacalista, fino al semplice militante del sud-est siciliano. E la risposta è da sempre prudente, quasi a non voler sgretolare certezze granitiche e luoghi comuni che vogliono la provincia iblea icona e simbolo di una “zona franca” dalla presenza mafiosa. Ma questo non per Carlo Ruta, storico e coraggioso giornalista d’inchiesta, che con il suo nuovo lavoro, “Segreto di Mafia”, mette a nudo con l’insistenza e la tenacia dello studioso, le radici della malavita organizzata in provincia di Ragusa.


L‘analisi del fenomeno parte proprio da un fatto storico inconfutabile: l’uccisione di una delle più promettenti firme del giornalismo siciliano, Giovanni Spampinato, ventiseienne collaboratore dell’Ora e dell’Unità, figlio di un comandante partigiano della Resistenza. Una vita e un delitto che si intrecciano con quelli di un noto antiquario, l’ingegnere Angelo Tumino, che bene rappresentano l’incontro tra l’interesse determinato per gli oggetti di altissimo valore e contenuto storico, il fenomeno del contrabbando dei tabacchi, fonte di arricchimento per Cosa Nostra negli anni ’60-’70, e l’archeomafia, termine che riassume bene mercato illegale, ieri di sigarette oggi di narcotici, e strumenti di riciclaggio in un binomio atto a realizzare l’obiettivo principe delle organizzazioni criminali di stampo mafioso: l’accumulo di capitali illeciti.
La parabola viene messa in luce dalla parola efficace e chiara di uno storico e giornalista dei nostri giorni, Ruta, che non si rassegna all’idea di eludere le domande sulla morte del giovane Spampinato, figlio della Sicilia più profondamente a Sud, dove è plausibile che la calma apparente e l’invisibilità, garantita dal “Cono d’Ombra”, non sia passata inosservata proprio alla mafia dell’Occidente siciliano, sovente sotto i riflettori di delitti eclatanti. Di certo non poté passare inosservata ai boss Gambino, appartenenti all’ala perdente di Cosa Nostra e sotto il tiro dei feroci Corleonesi in ascesa, o degli stessi Salvo di Salemi che proprio per questo proiettarono i loro interessi economici in zone lontane dal “rumore” palermitano, scegliendo in particolare Vittoria e affiliando i capomafia locali, come i Gallo, per impedirne il contatto con i Madonia e Santapaola, alleati di ferro dei Corleonesi.
Affari di miliardi di vecchie lire, decine di milioni di euro attuali, venivano coperti dal “cono d’ombra” che tale doveva rimanere fino a quando, tra gli anni ’70 e ’80, Cosa Nostra lascia il tabacco per i narcotici, e si spengono le speranze di speculazione sul possibile indotto della base missilistica nucleare più grande d’occidente, quella di Comiso, dove si afferma invece il più importante movimento pacifista d’Europa, che contrasta le mire egemoniche degli Stati Uniti e, di riflesso, della mafia siciliana. Un trapasso che segna l’abbandono degli interessi grossi di Cosa Nostra per gli Iblei, come con puntualità spiega Ruta, da storico del fenomeno mafioso.
“Chi sbaglia paga”: questa è la rigida regola di Cosa Nostra che non perdona rivendicazione di diritti negati, come deve essere stato nel caso del noto ing. Tumino, essendo il mondo parallelo delle mafie un mondo dove l’inganno e l’impostura sono i veri significati della parola “onore”. Questa deve essere stata, secondo l’autore del libro, la legge che può aver decretato la morte del Tumino così come quella del giovane intellettuale Spampinato, sulle orme di un altro giovane, Roberto Campria, al contempo carnefice del giornalista e vittima di un allora miliardario giro di affari. Un giovane fragile, il Campria, che avrebbe potuto rivelare allo Spampinato, amante della verità, informazioni significative per decodificare l’incrocio tra il mondo dell’antiquariato, dell’archeologia e il contrabbando di sigarette, imperante nelle coste scarsamente controllate del sud-est siciliano.
Delitto passionale, delitto inconsapevole e incosciente, quello che stroncò la vita di una delle promesse del nostro giornalismo. Questo, il “Cono d’ombra”, prima ancora degli inquirenti, sentenziò essere il movente e quindi l’esito di una vicenda ben più complessa.
Le parole di Carlo Ruta restringono ancora una volta con forza il raggio del Cono del Silenzio, illuminandone aree riposte, esponendo fatti e rivolgendo domande intrise di logica e desiderio di verità. Domande scomode per una provincia, quella ragusana, un po’ troppo “babba” per giri di affari documentati addirittura tra i più grandi, negli anni 60-70 dell’ìsola. Domande scomode per le banche, da sempre interessate, come aveva capito il generale Dalla Chiesa, a non interrogarsi sulla provenienza del denaro che arriva e deve essere prontamente investito! Troppo scomode per non espungere da questo delicato equilibrio della Ragusa scevra dalla criminalità organizzata un giovane giornalista, rigoroso e dedito alla ricerca della libertà, consapevole che questa può essere garantita solo dalle inchieste e dalle indagini più rischiose. Quelle appunto di Giovanni Spampinato. Quelle di Carlo Ruta!

Gianluca Floridia
Libera Associazioni Nomi e Numeri contro le mafie

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