mercoledì 25 febbraio 2009

Nasce il mensile "Il Clandestino", conferenza "Mafia e informazione nel cono d'ombra"


L’Associazione “Il Clandestino” in collaborazione con “Libera, nomi e numeri contro le mafie”, presenta il mensile d’informazione “Il Clandestino” (con permesso di soggiorno), redatto da giovani e meno giovani, con collaborazioni dalle varie città della provincia e diretto da Pippo Gurrieri. L’esperienza de “Il Clandestino” dura ormai da quasi tre anni, e in questo periodo la redazione con molta umiltà e con tanti limiti, dati dalla giovane età, dall’inesperienza e dalle poche risorse finanziarie, ha fatto informazione tra i giovani e tra gli adulti, mettendo sempre al primo posto la libertà. Spesso sono state dette cose che di solito non trovano spazio in altri organi d’informazione; è stato sempre questo l’ingrediente principale de “Il Clandestino”. La presentazione del mensile avverrà venerdì 27 febbraio al Palazzo della Cultura di Modica, alle ore 18:30, con un dibattito intitolato
“Mafia e informazione nel cono d’ombra - Uno sguardo nel sud est siciliano – “Saranno presenti Rosario Crocetta, Sindaco di Gela, Carlo Ruta, storico e giornalista, Angelo Di Natale, giornalista di Rai Sicilia, il Sindaco Antonello Buscema che darà il suo saluto e modererà il dibattito Gianluca Floridia, “Libera - nomi e numeri contro le mafie”.



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Porto: si muovono le acque


I dati per il traffico merci e passeggeri, relativi all’anno 2008, sembrano parlare chiaro circa la crescita significativa, sebbene non eclatante, che ha interessato il porto di Pozzallo, a dispetto della diffusa crisi economica. Stando alle fonti, nell’ultimo anno si è registrato un incremento dello 0, 4% nella movimentazione merci e del 22,2% nel traffico passeggeri. Con molta probabilità questi dati, chiaramente positivi, hanno contribuito a far sì che l’amministrazione pozzallese focalizzasse la propria attenzione sul potenziamento della struttura. Ma la causa di questo rinnovato impegno sul fronte portuale non è da riconoscere esclusivamente nell’aumento dei traffici, ma anche in una mera esigenza pratica. Lo scorso dicembre infatti il porto di Pozzallo è stato investito da una piccola onda anomala, che ha prodotto danni per circa un milione di euro. L’episodio ha contribuito a far riemergere prepotentemente la necessità di interventi sulla struttura, che negli anni hanno sempre assunto carattere secondario, e subito si è rivelato ottimo pretesto per alimentare il deleterio e recidivo botta e risposta tra Mpa e Pd, che anima ormai da tempo la vita politica della città marinaresca. Il sindaco autonomista, Giuseppe Sulsenti, ha infatti addossato la responsabilità dei danni causati dallo tsunami in miniatura ai ritardi della precedente amministrazione Ammatuna, rea di aver perso dei fondi, pari a 15 milioni di euro, stanziati proprio per la struttura portuale. Mentre nella città di mare incede lo scontro, a Palermo sembra che la sorte del porto di Pozzallo sia stata già decisa. Nel capoluogo di regione si è infatti tenuto un incontro, cui hanno preso parte, tra i tanti, il sindaco Sulsenti, l’assessore regionale a Territorio ed Ambiente, Pippo Sorbello, e i deputati all’ars, Riccardo Minardo e Roberto Ammmatuna. L’intento comune è stato quello di rivalutare una struttura, che possa garantire benefici, non solo al comune di Pozzallo, ma a tutta la provincia di Ragusa. Nell’incontro sono state poste delle priorità tra gli obbiettivi da raggiungere. La realizzazione di un braccio supplementare per la messa in sicurezza, il dragaggio del porto turistico e commerciale e la pubblica illuminazione rientrano tra quelle “urgenze – come le ha definite il primo cittadino di Pozzallo – che devono essere realizzate in tempi brevi” . Inoltre è stata prevista l’attuazione, in un secondo momento, di programmi per lo sviluppo della struttura, che si avvarranno dei fondi europei e la cessione della totale gestione del porto al comune pozzallese.
La ripresa della questione porto degli ultimi mesi lascerebbe sperare in una definitiva risoluzione dei problemi della struttura, ma il timore che si tratti di semplici operazioni pubblicitarie resta vivo. Con il tempo sapremo se le acque si acquieteranno nuovamente o se ci sarà stata una vera svolta.

Nicola Sirugo


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lunedì 23 febbraio 2009

Acqua, un affare che scotta


In Sicilia i processi di privatizzazione dell’acqua che vanno dipanandosi negli ultimi anni si raccordano con una tradizione composita. Se si dà uno sguardo alla storia post-unitaria, si constata infatti che l’accaparramento delle fonti, delle favare per usare il termine di derivazione araba, ha scandito con regolarità l’evoluzione legale e illegale dei ceti che hanno esercitato dominio sull’isola. Il controllo delle acque ha consentito di lucrare rendite economiche e posizionali importanti, di capitalizzare, di chiamare a patti le autorità pubbliche, di condizionare quindi gli atti dei municipi, degli enti di bonifica, di altre istituzioni. E il canovaccio di tale affare, di rilievo appunto strategico, ancora oggi rimane tale, benché si faccia uso di strumenti e progettazioni non più a misura di un mondo agrario più o meno statico, ma di una realtà in profonda evoluzione, sullo sfondo delle economie globali. Si tratta di comprendere allora i modi in cui si coniugano oggi i due elementi, innovazione e tradizione, a partire comunque dal dato che anche in Sicilia si vive al riguardo un passaggio epocale, dopo il lungo tragitto delle aziende municipalizzate, che sempre e comunque hanno dovuto fare i conti con i signori delle fonti.
Nel quadro dei processi generali che hanno reso l’acqua una risorsa economica, una merce, che chiama in causa multinazionali potenti come Suez, Vivendi, Impresilo, RWE, la legge Galli del 5 gennaio1994 sugli ambiti territoriali ottimali, ATO, ha segnato una svolta rispetto al passato, puntando a eliminare la frammentazione che fino a quel momento aveva caratterizzato la gestione idrica nel territorio nazionale. Pur sottolineando sin dall’incipit il rilievo dell’acqua quale bene pubblico, ha posto nondimeno le basi per l’irruzione dell’interesse privato nella gestione dei servizi idrici degli ATO, con il ricalcolo di tale risorsa sotto il profilo economico. E tutto questo, se, come si diceva, non poteva non sommuovere, in senso lato, l’interesse della grande finanza, come testimonia negli ultimi anni il coinvolgimento di banche come l’Antonveneta, la Fideruram e altre ancora, ha finito con il sollecitare una pluralità di interessi, con l’esaltare anomalie esistenti e generarne di nuove, specie nel sud della penisola e in Sicilia, dove l’economia più di altrove è inficiata da mali strutturali, dove vigono appunto tradizioni tipiche, che rendono ineludibile l’ipoteca delle consorterie.
La posta in gioco in Italia è ovviamente altissima, potendo comprendere, fra l’altro, gli ingenti finanziamenti a fondo perduto che l’Unione Europea ha destinato a tali ambiti, perché vengano eliminati i gap che interessano il paese. Tanto più lo è comunque in regioni in cui le strutture e gli impianti esistenti scontano deficit strutturali, consolidatisi lungo i decenni. È il caso della Sicilia, dove l’EAS e le municipalizzate hanno gestito regolarmente impianti obsoleti, dove quasi tutti gli invasi recano vistosi segni d’incuria, le infrastrutture restano esigue, le condutture fatiscenti e in una certa misura da rifare. Il progetto di privatizzazione nell’isola ha potuto quindi fregiarsi di un obiettivo seducente, quello della modernizzazione dei servizi idrici che, dopo anni di attesa interlocutoria, è stato agitato come una sorta di rivoluzione dal governo regionale di Salvatore Cuffaro. E dal decisionismo, sufficientemente mirato, del ceto politico di cui l’ex presidente conserva in una certa misura la rappresentatività, corroborato comunque dai trasversalismi che insistono a connotare la vicenda pubblica nella regione, ha preso le mosse, negli ultimi anni, una sorta di caccia all’oro.
L’affare dell’acqua reca in Sicilia dimensioni inedite. Sono in gioco infatti 5,8 miliardi di euro, da amministrare in trenta anni, con interventi a fondo perduto dell’Unione Europea per più di un miliardo di euro. Dopo un primo indugio, dettato presumibilmente da ragioni di cautela, che ha visto comunque diverse gare andare a vuoto, la scena si è quindi movimentata, con l’irruzione di importanti realtà economiche, interne all’isola ed esterne. Una fetta cospicua dell’affare è stata avocata dalla multinazionale francese Vivendi, socia di maggioranza della Sicilacque spa, che, dopo la liquidazione dell’Ente Acquedotti Siciliani, ha ereditato la gestione di 11 acquedotti, 3 invasi artificiali, 175 impianti di pompaggio, 210 serbatoi idrici, circa 1.160 km di condotte e circa 40 km di gallerie. In diverse ATO si è già provveduto, altresì, alle assegnazioni. Nell’area di Caltanissetta si è imposta Caltaqua, guidata dalla spagnola Aqualia. A Palermo e provincia ha vinto il cartello Acque potabili siciliane, di cui è capofila Acque potabili spa, controllata dal gruppo Smat di Torino. Nell’area etnea la guida del Consorzio Ato Acque è stata assunta dalla catanese Acoset. Ad Enna ha vinto Acqua Enna spa, comprendente Enìa, GGR, Sicilia Ambiente e Smeco. A Siracusa vige la gestione mista della Sogeas, che vede presenti, con l’ente municipale, la Crea-Sigesa di Milano e la Saceccav di Desio. Ad Agrigento è risultata aggiudicataria la compagine Agrigento Acque che fa capo ancora ad Acoset. Negli altri ATO le gare rimangono sospese.
È la prima fase ovviamente, quella dei grandi appalti, che è preoccupante non solo per la virulenza con cui i poteri economici incalzano e mettono in discussione le istanze della democrazia, degradando un bene comune qual è l’acqua a merce, ma, di già, per i modi in cui evolvono le cose, in ossequio appunto a una data tradizione. In relazione più o meno diretta con grandi società estere e italiane interessate all’affare Sicilia, vanno muovendosi infatti ambienti economici discussi, a partire dai Pisante, le cui imprese risultano inquisite dalle procure di Milano, Monza, Savona e Catania per una varietà di reati: dal pagamento di tangenti all’associazione mafiosa.
Già coinvolta nell’isola in vicende legate agli inceneritori, tale famiglia si è mossa con intenti strategici. Si è inserita, tramite la controllata Galva spa, nel raggruppamento guidato da Aqualia, per la gestione idrica nel Nisseno. Partecipa con un buon 8,4 per cento alla società aggiudicataria nel Palermitano, Acque potabili siciliane spa. Tramite le società Acqua, Emit, e Siba detiene una discreta quota azionaria di Sicilacque che, come detto, ha rilevato dall’EAS il controllo delle grandi risorse idriche regionali. Ancora per mezzo della Galva partecipa altresì alla compagine vincente nell’Agrigentino, Girgenti Acque, di cui è capofila Acoset, che con Aqualia ha concorso in varie province. Ha invece perso nel Catanese, perché, l’AMGA spa, capofila della compagine entro cui correva, in competizione con Acoset, per l’aggiudicazione dell’ATO 2, è stata esclusa dalla gara.
Nelle mappe dell’acqua assumono altresì rilievo due noti imprenditori siciliani: l’ingegnere Pietro Di Vincenzo di Caltanissetta e l’ennese Franco Gulino, che vanno facendo non di rado gioco comune, pure di concerto con i Pisante. Il primo, cui sono stati confiscati beni per circa 300 milioni di euro, ha assunto la gestione dei dissalatori di Trapani, Gela, Porto Empedocle, Lipari e Ustica, indubbiamente strategica. È stato l’unico offerente nella gara per la gestione idrica di Trapani, poi sospesa. In competizione con le imprese di Caltaque, ha corso altresì per l’appalto ATO di Caltanissetta, dentro la compagine NissAmbiente, che comprendeva pure l’Altecoen di Franco Gulino. Quest’ultimo poi. Proprietario di un gruppo di quaranta società operanti in diverse regioni italiane, con interessi pure in Sud America, è stato rinviato a giudizio a Messina per concorso esterno in associazione mafiosa, per l’affare dei rifiuti di MessinAmbiente, che tramite l’Emit ha coinvolto pure i Pisante. Con l’Altecoen, che la stessa Corte dei Conti siciliana ha definito nell’aprile 2007 un’azienda “infiltrata dalla criminalità mafiosa”, si è introdotto nell’affare dei termovalorizzatori, per uscirne con ingenti guadagni. Ancora tramite l’Altecoen, è stato presente nella Sicil Power di Adrano, insieme con la DB Group, presente nei raggruppamenti guidati dalla catanese Acoset.
Tutto questo definisce evidentemente un ambiente, che fa da sfondo peraltro a fatti e atteggiamenti ancor più preoccupanti. Si tratta del lato più oscuro del processo di privatizzazione, di cui emergono un po’ le coordinate nelle dichiarazioni di un reo confesso, Francesco Campanella, ex presidente del consiglio municipale di Villabate, sulla costituzione del consorzio Metropoli Est, finalizzato al controllo delle acque in alcuni centri del Palermitano. Fatti sintomatici si rilevano comunque in quasi tutte le aree dell’isola: dall’Agrigentino, dove i sindaci di Bivona e Caltavuturo hanno denunciato le logiche dubbie invalse negli appalti di manutenzione, a Ragusa, dove sin dagli inizi della vicenda ATO è stato un crescendo di atti intimidatori. E si è ancora agli esordi.
In linea con le consuetudini, vanno delineandosi in sostanza due livelli: quello della gestione idrica in senso stretto, conteso da multinazionali e grandi società del settore, non prive appunto di oscurità, e quello dell’impiantistica, lasciato in palio alle consorterie territoriali, che recano ragioni aggiuntive, oggi, per porsi all’ombra di poteri estesi e ineffabili. Un quadro definito degli interessi potrà aversi comunque con l’entrata nel vivo degli ammodernamenti, nella danza di bisogni e pretese che sempre più verrà a stabilirsi fra appalti e subappalti. Solo allora l’obolo alla tradizione verrà richiesto con ampiezza: quando in profondo si tratterà di fare i conti con il privato che cova già nei territori, quando si tratterà altresì di saldare i conti con la parte pubblica, in sede municipale, provinciale, regionale.
In questa fase, in cui alcuni raggruppamenti recano caratteri di veri e propri cartelli, la logica prevalente rimane quella delle concertazioni a tutto campo, che traspare, fra l’altro, in certi movimenti mirati, prima e dopo le aggiudicazioni: tali da pregiudicare talora la linearità delle gare. Un caso esemplare, che ha avuto pure risvolti parlamentari, con una interpellanza del deputato Filippo Misuraca, è quello di Caltanissetta, dove la IBI di Pozzuoli, capofila della compagine esclusa dalla gara ATO, ha presentato ricorso contro Caltaqua, per ritirarlo appena avuta l’opportunità di inserirsi, con l’Acoset di Catania che l’affiancava, nel gruppo assegnatario, attraverso l’acquisizione di una quota cospicua dalla Galva del gruppo Pisante. Tutto questo, a dispetto delle leggi e delle direttive comunitarie, che vietano qualsiasi modificazione all’interno delle compagini vincenti.
Il processo di privatizzazione in Sicilia non sta recando comunque un decorso facile. Ha suscitato tensioni politiche, tali da rendere difficoltose le aggiudicazioni, mentre ha agitato la protesta delle popolazioni, allarmate dai rincari dell’acqua che ovunque ne sono derivati. Per tali ragioni a Trapani e Messina le gare rimangono sospese, con rischi di commissariamento dei rispettivi ATO, mentre a Ragusa si è arrivati addirittura a un ripensamento, per certi versi un dietro-front, che ha coinvolto gran parte dei sindaci dell’area. E proprio la vicenda di quest’ultima provincia segna nel processo una vistosa anomalia.
Sotto il profilo economico, il sudest, da Catania alla provincia iblea, reca tratti distinti. È la sede principale delle colture in serra, lungo i percorsi della fascia trasformata. È area d’insediamento di grandi centri commerciali, con poli importanti a Misterbianco, Siracusa, Modica e Ragusa. È territorio di una banca influente, la BAPR, che riesce a collocarsi oggi, per capitalizzazione, fra le prime venticinque banche in Italia. In virtù dell’integrazione cui può godere, sempre più va facendosi altresì un’area di forte interlocuzione economica, a tutti i livelli, con risvolti operativi non da poco. Se ne hanno riscontri nella politica concertata dei poli commerciali, quelli indicati appunto, e tanto più negli accordi strategici che vanno maturando nel mercato immobiliare, nella grande distribuzione alimentare, nel mercato ittico, nella costruzione di opere pubbliche, infine, dopo la svolta della legge Galli e le sollecitazioni dal governo regionale, nello sfruttamento privato delle acque. In quest’ultimo ambito infatti la catanese Acoset, ponendosi a capo di un raggruppamento coeso, ha deciso di guadagnare terreno oltre il territorio etneo, mentre la Sogeas di Siracusa, pur avendo introdotto soci privati, cerca di mantenere, al momento, un contegno più prudente.
Negli ultimi anni la società catanese è stata al centro di numerose contestazioni, da parte di enti e comitati di cittadini che ne hanno denunciato, oltre che i canoni esosi, le carenze di controllo. Il caso più clamoroso è emerso nel 2006 quando nell’acqua da essa erogata in diversi centri sono state rilevate concentrazioni di vanadio nocive alla salute. La Confesercenti di Catania è intervenuta con esposti ad autorità competenti e al Ministero della Salute. Il comune di Mascalucia ha aperto in quei frangenti un contenzioso, negando la potabilità dell’acqua. Per la mancata erogazione in alcuni centri, l’azienda è stata inoltre censurata dal Codacons e, in un caso almeno, è stata indagata dalla magistratura etnea. A dispetto comunque di simili “incidenti”, che definiscono il piglio dell’azienda mentre incrinano, in senso lato, le sicurezze sulle qualità del servizio privato, l’Acoset, potendo contare su alleati idonei, ha assunto i toni e le pretese di un potere forte.
Nata nel 1999 come azienda speciale, che ai fini della gestione idrica consorziava venti comuni pedemontani, l’impresa presieduta dal geometra Giuseppe Giuffrida si è trasformata nel 2003 in società per azioni, con capitale pubblico e privato. Nello slanciarsi lungo la Sicilia, ha stabilito rapporti con ambienti economici mossi. Nella compagine di Girgenti Acque, di cui è capofila, ha associato la Galva del gruppo Pisante e una società che fa capo alla famiglia Campione, discussa per vicende che ne hanno riguardato un componente. Nel medesimo tempo, con le movenze tenui che accomunano tante imprese dell’est siciliano, l’Acoset è riuscita ad aver voce negli ambiti decisionali che più contano nell’isola. Un test viene ancora dall’Agrigentino, dove, malgrado l’opposizione di ventuno sindaci, che avevano chiesto l’annullamento dell’aggiudicazione, la società catanese è riuscita a mettere le mani comunque sull’affare idrico, con la condivisione forte del presidente provinciale degli industriali, Giuseppe Catanzaro, del direttore generale in Sicilia dell’Agenzia regionale per i rifiuti e le acque, Felice Crosta, del presidente della regione Cuffaro.
Pure i numeri sono quindi divenuti quelli di un potere in evoluzione. Quale socio privato dell’ATO 2 di Catania, l’impresa eroga l’acqua a 20 comuni etnei, per circa 400 mila abitanti. Da capofila della società Girgenti Acque ha sbaragliato potenti società italiane ed estere, come Aqualia appunto, aggiudicandosi un affare che le farà affluire in trenta anni 600 milioni di euro, di cui circa 100 milioni dall’Unione Europea. Con una quota minima, ceduta dalla Galva dei Pisante, risulta presente nel gruppo Caltaqua, aggiudicatario della gestione idrica del Nisseno. Sin da quando si è profilato il business della privatizzazione, con un raggruppamento d’imprese che comprende pure la BAPR, ha deciso di puntare altresì a sud, gareggiando ancora con la multinazionale iberica, per assicurarsi la gestione dei servizi idrici di Ragusa, che recano una posta di oltre mezzo miliardo di euro, di cui circa 100 mila della UE. Se avesse centrato tale obiettivo oggi avrebbe in pugno un quinto circa dell’intero affare siciliano.
I giochi apparivano fatti. Delle tre società concorrenti, Saceccav, Aqualia e Acoset, la prima, che concorreva già per insediarsi all’ATO di Siracusa, è stata esclusa dalla gara per motivi che sono apparsi sospetti, tali da indurre uno dei commissari, il prof. Francesco Patania, a dimettersi e presentare un esposto alla procura di Ragusa. La seconda, che di lì a poco avrebbe avocato a sé la gestione idrica del Nisseno, per certi versi si è ritirata perché non ha risposto all’invito della commissione di dichiarare se persisteva il suo interesse alla gara. La compagine di Acoset, che al medesimo invito ha risposto affermativamente, aveva quindi ragione di sentirsi vincitrice. Le cose sono andate tuttavia in modo imprevisto. La maggioranza dei sindaci, che nel giugno 2006 si erano espressi a favore della gestione mista, pubblico-privata, nella seduta del 26 febbraio 2007 hanno deciso di avviare infatti la procedura di annullamento della gara perché difforme alle direttive dell’Unione Europea. E il 2 ottobre del medesimo anno la gara è stata annullata. Ma perché è avvenuto tale ripensamento e, soprattutto, quali giochi reggevano, e reggono tutt’ora, l’affare acqua del sud-est?
Lo schieramento di Acoset per l’ATO di Ragusa reca conferme di rilievo e qualche accesso. Rimane forte la presenza catanese, con Acque di Carcaci, Acque di Casalotto e la COESI Costruzioni Generali. Con opportuni scambi posizionali vengono altresì confermate, perché strategiche, due presenze: la IBI di Pozzuoli, con cui nel Nisseno la società catanese ha condotto l’operazione di trasbordo in Caltaqua, che ha suscitato allarme nella Sicilia tutta e prese di posizione parlamentari; la DB Group che, tramite la Sicil Power, costituisce un punto di contatto fra l’Acoset e il gruppo di imprese che fa capo alla famiglia Pisante. Inedita è invece, ma pure sintomatica, la partecipazione della BAPR, che meglio di ogni altra realtà compendia il potere finanziario del sudest. La banca iblea ha fatto una scelta anomala, per certi versi controcorrente, dal momento che nessun altro istituto di credito dell’isola ha deciso di porsi in campo. Ma l’ha fatta a ragion veduta.
Nel quadro degli scambi che vigono nell’est siciliano, la BAPR costituisce una presenza di peso, in grado di interloquire con tutte le economie, a partire comunque da quelle legate all’edilizia e all’innovazione agricola. Reca una dirigenza solida, attenta alla tradizione, non priva tuttavia di impeti modernistici, che tanto più si avvertono nell’attivismo di Santo Cutrone, consigliere di amministrazione, costruttore, componente della giunta CCIIA di Ragusa, vice presidente siciliano dell’ANCE. Forte dei ruoli rivestiti, Cutrone ha potuto stabilire relazioni da vicino con l’imprendtoria catanese, inclusa quella legata all’acqua. Con la CG Costruzioni, di cui è proprietario, ha fatto affari comuni con l’ingegnere Di Vincenzo, con la costituzione di una ATI, associazione temporanea d'impresa, che ha concorso in numerose gare, dal comune Misterbianco al porto di Pozzallo. Quale presidente provinciale dell’Associazione Nazionale Costruttori si è esposto in favore della privatizzazione dell’acqua a Ragusa, mentre, a chiusura del circolo, ha sostenuto nell’intimo della BAPR le ragioni, infine vincenti, della scesa in campo con Acoset.
In considerazione di tutto questo, i conti dell’acqua, nella declinazione del sudest, tornano con pienezza. La società guidata da Giuseppe Giuffrida, che ha accettato la sfida dei giganti europei, ha avuto buone ragioni per imbarcare la banca siciliana, ravvisando nel prestigio e nell’influenza della medesima una carta spendibile ai fini dell’aggiudicazione del mezzo miliardo di euro in palio. Dal canto suo la BAPR, sospinta dal protagonismo di Cutrone, si è risolta a rivendicare una propria ipoteca, la prima, sull’affare del secolo, sulla scia peraltro di taluni gruppi finanziari, per consolidare sotto la propria egida l’asse economico Ragusa-Siracusa-Catania. Come si evince dalle movenze, tutti i protagonisti della compagine, da Acoset a IBI, da DB Group all’istituto ibleo, hanno comunque ben chiaro che la conquista del centro-partita nella cuspide iblea può costituire un incipit per ulteriori affari, tanto più dopo lo scoccare del 2010, quando, con l’apertura dell’area di libero scambio, il territorio del sudest, in virtù dell’esposizione che reca sul Mediterraneo, diverrà strategico.
In definitiva, nella Sicilia più a sud si è giocato per vincere, a tutti i costi. Il coinvolgimento della BAPR ne è una prova. E Acoset, con le sue alleate, avrebbe vinto se, dopo la decisione assunta dai sindaci dell’ATO in favore della privatizzazione, nel giugno 2006, non fossero accaduti degli incidenti, privi di riscontro in Sicilia, per certi versi quindi imprevedibili. Un pugno di ragazzi, fondatori di un giornale in fotocopia, “Il clandestino”, hanno deciso di mettersi di traverso, suscitando una resistenza corale, che ha incrociato lungo il suo cammino Alex Zanotelli, l’Antimafia di Francesco Forgione, il Contratto Mondiale dell’acqua di Emilio Molinari, la CGIL di Carlo Podda. Dalle cronache, in Sicilia e nel paese tutto, la storia è stata registrata come una esperienza esemplare, cui si sono coinvolti dirigenti sindacali come Tommaso Fonte, Franco Notarnicola, Nicola Colombo e Aurelio Mezzasalma, esponenti politici come Marco Di Martino, esponenti dell’associazionismo come Barbara Grimaudo. La battaglia dell’acqua, nel sudest siciliano, rimane comunque aperta, con i poteri forti che insistono a lanciare i loro moniti, mentre vanno preparandosi all’ultimo decisivo assalto.

Carlo Ruta

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sabato 21 febbraio 2009

Giornale di Ragusa.it, basta cosi grazie!


Per l’ennesima volta si torna a parlare di informazione nella nostra provincia e nello specifico nel nostro comune, a Modica. È stato detto più volte che vari organi d’informazione “nostrani” sono molto vicini o addirittura di proprietà di elementi molto influenti nella vita economica e politica della città; questi stanno mettendo in atto un progetto contro l’attuale amministrazione comunale formata dal centro sinistra e dall’Mpa, nemico, quest’ultimo, del centro destra modicano e in particolare del Pdl, che fa capo a Nino Minardo. Facendo un’analisi molto semplice sulle forze che si oppongono all’operato del Sindaco Buscema e dell’amministrazione, viene fuori che da più settori vengono lanciate “frecce infuocate”. Tali armi, trasformate in azioni politiche, economiche e giornalistiche, tendono a svalutare quella che è la maggioranza di governo in città e tutta quella serie di iniziative portate avanti dalla nuova amministrazione. Un ruolo molto importante in questo assalto al nemico, lo sta giocando la nuova testata giornalistica online, il giornale di Ragusa.it, il quale dominio è registrato a nome di Raimondo Minardo, il direttore responsabile è Gianni Contino, mentre la redazione è formata per lo più dai giornalisti di Video Regione. Inoltre poche settimane fa quando venne lanciata la nuova testa, fu anche l’ex sindaco Piero Torchi a pubblicizzare questo nuovo sito “d’informazione”. La strettissima vicinanza della testata online al centro destra modicano è certa, e sembrerebbe rientrare anche nel suo programma politico: avere a disposizione gli organi d’informazione. In un articolo inserito venerdi 20 febbraio, si legge dal titolo “Modica, il sindaco abbandonato in consiglio comunale, nessuno degli alleati lo affianca, Buscema era solo alla seduta di ieri”, rifacendosi alla seduta di giovedi 19 febbraio 2009. A questo punto viene da domandare al giornalista che ha pubblicato questo articolo, firmato con un nomignolo, “red”, sono trasparenti gli assessori che nella seduta del consiglio comunale hanno assistito al dibattito? Erano presenti Giorgio Cerruto, Emanuele Muriana, Carmelo Abbate, Antonio Calabrese e Elio Scifo. Leggendo l’articolo intero si evince nel giornalista un grave malessere, magari dovuto alla mancanza di potere dei politici vicini a lui o dovuto al fatto che l’Mpa di Riccardo Minardo è nell’attuale maggioranza del Consiglio Comunale, oppure è dovuta all’onesto e trasparente lavoro che sta portando avanti Antonello Buscema. Ma c’è un altro articolo molto vivace e acceso contro gli amministratori modicani, pubblicato anche questo venerdi 20 febbraio 2009 e firmato anche questo da “red”. Il titolo recita: “A palazzo San Domenico fervono i preparativi, incredibile: si pensa al carnevale, ma degli stipendi però nessuna traccia”. L’articolo commenta l’organizzazione del carnevale modicano promosso dal comune, ma non viene spesa alcune parola sulla grande partecipazione di bambini, scuole, famiglie e artisti, i quali sono l’elemento fondamentale di quest’iniziativa. Il Sindaco Buscema ha dichiarato che saranno irrisorie le spese per la riuscita del carnevale 2009, a tal punto da non intaccare il bilancio comunale, se non per una piccola somma. C’è da dire, magari a chi critica l’iniziativa, che a Modica da tantissimi anni non veniva organizzata alcuna manifestazione per il carnevale, momento di divertimento e di gioia per i più piccoli. Negli ultimi anni abbiamo visto solamente diverse bande di balordi attaccarsi tra loro, danneggiare vetrine, auto ed edifici privati. Al fine di evitare episodi di violenza e inciviltà, il denaro che il comune sta mettendo a disposizione per il carnevale è ben speso.

Francesco Ruta

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martedì 17 febbraio 2009

Medici Senza Frontiere contro la segnalazione dei clandestini negli ospedali


Medici Senza Frontiere, la più grande organizzazione medico-umanitaria internazionale al mondo, si schiera contro la decisione del Senato di abrogare il principio di non segnalazione che recita:
“l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità, salvo i casi in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”.

Il Clandestino si schiera a fianco di Medici Senza Frontiere
e sottoscrive l’appello per chiedere ai Senatori di respingere l’emendamento che elimina il principio di non segnalazione alle autorità per gli immigrati irregolari che si rivolgono a una struttura sanitaria ritenendolo un attentato alla civiltà ma anche alla nostra salute.
Pubblichiamo l’intervista integrale ad Alessandra Tramontano, coordinatrice medica dei progetti italiani di Medici Senza Frontiere tratta dal sito italiano di Medici senza Frontiere
Quali sono le ragioni per cui Medici Senza Frontiere si è schierata contro l’abrogazione di questo comma?
L’attuale Testo Unico sull’Immigrazione (Decreto Legislativo 286 del 1998) prevede che “l’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all’autorità”. Il rischio di essere segnalato creerebbe nell’immigrato privo di permesso di soggiorno e bisognoso di cure mediche una reazione di paura e diffidenza, in grado di ostacolarne l’accesso alle strutture sanitarie. Inoltre si metterebbe a rischio uno dei principi fondamentali su cui si basa la gestione di un sistema sanitario che è la sorveglianza epidemiologica volta a prevenire e controllare l’insorgenza e la diffusione delle patologie. In Italia la sorveglianza epidemiologica ha permesso di tenere sotto controllo, e in alcuni casi di ridurre, l’incidenza di alcune malattie. L’abrogazione del divieto di segnalazione rischia di spingere verso una marginalizzazione sanitaria una fetta non indifferente della popolazione e potrebbe influenzare in maniera negativa il sistema di controllo delle patologie, riducendo così l’efficacia della sorveglianza epidemiologica.
Quali sono le patologie che avete riscontrato negli ambulatori dedicati ai migranti e che quindi sfuggirebbero alla sorveglianza epidemiologica?
I dati che abbiamo raccolto dopo 10 anni di assistenza medica ai migranti in Italia ci dicono che le patologie più frequenti in questi pazienti sono strettamente connesse alle condizioni di vita e di lavoro precarie, in alcuni casi proibitive, in cui versano gli irregolari. Non si tratta dunque solo di malattie infettive, ma sopratutto della sfera materno infantile (assistenza a donne in età fertile, prevenzione di gravidanze indesiderate, controllo delle nascite, difficoltà di accesso ai programmi di vaccinazione di base per i minori figli di irregolari), patologie croniche e malattie cardiovascolari. Se questa norma dovesse essere approvata una larga fetta della popolazione sarebbe estromessa dal sistema di sorveglianza con conseguenze pericolose anche in termini di salute pubblica.
Quali potrebbero essere in termini di costi le ricadute di questa norma sul Sistema Sanitario Nazionale (SSN)?
Il mancato trattamento tempestivo di patologie sia acute che croniche potrebbe aggravare lo stato di salute della popolazione in oggetto con ulteriore carico sul SSN, mentre un’allerta precoce ridurrebbe sicuramente gli accessi ad un secondo livello del SSN. Per esempio, oggi un irregolare che si presenta in un ambulatorio STP (straniero temporaneamente presente) con sintomi influenzali, da protocollo viene curato con farmaci antipiretici o antinfiammatori con probabile risoluzione del disturbo ed esclusione di complicazioni. Con l’abolizione del principio di non segnalazione e il probabile clima di paura e diffidenza che tale abolizione creerebbe tra gli immigrati, il paziente potrebbe scegliere di non recarsi subito in un STP , ma solamente in seguito a complicanze, non inconsuete in questi casi, sarebbe costretto dopo l’acutizzarsi della malattia, o a rivolgersi a canali sanitari per così dire “paralleli”, o a giungere ad un secondo livello sanitario con ricovero. Questo meccanismo avrebbe ricadute in termini di costi e di impiego di risorse umane sul SSN.
Come si comporteranno gli operatori sanitari qualora questa norma fosse approvata?
Nonostante l’abrogazione del divieto di segnalazione non sia ancora entrata in vigore, alcuni medici che lavorano negli ambulatori STP hanno manifestato ai nostri medici la loro esitazione nel riferire i pazienti (immigrati irregolari) a servizi sanitari di secondo livello nel timore che questi vengano lì denunciati.
La posizione di MSF è chiara, all’interno dei nostri ambulatori non si effettuerà nessun tipo di denuncia o delazione ma il nostro lavoro negli STP è svolto in stretta collaborazione con le ASL locali. Tuttavia continuiamo a ricevere manifestazioni di solidarietà dagli operatori sanitari di tutt’Italia.
A livello nazionale abbiamo ricevuto risposte positive da parte degli ordini professionali sanitari che in maniera massiccia si sono espressi contro questa norma.
Come organizzazione medico umanitaria continueremo a garantire le cure a tutti indipendentemente dallo status giuridico e faremo di tutto per abbattere le barriere che si frappongono verso l’accesso alle cure per tutti coloro che sono presenti sul territorio nazionale.
Avete lanciato un appello pubblico contro questa norma, a cui hanno risposto molti rappresentanti della società civile, giuristi, ordini professionali e organizzazioni di diverso orientamento politico, come mai tanta mobilitazione per un singolo emendamento?
In linea di principio questa norma ostacola un diritto fondamentale che è quello alla salute sancito nell’articolo 32 della Costituzione, e questa è una ragione.
Un’altra preoccupazione è generata dalla percezione che una norma politica, che ignora aspetti prettamente sanitari, vada ad intaccare un equilibrio etico e professionale che è alla base del nostro SSN.
In altre parole si sta sancendo la caduta del principio del segreto professionale per il personale sanitario volto a tutelare il paziente come essere umano indipendentemente da ogni altra considerazione.



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lunedì 16 febbraio 2009

Energia nucleare, l’Italia ci riflette


L’energia nucleare torna a far parte del dibattito politico nazionale. Il presidente del Consiglio inserisce l’energia nucleare tra le priorità, affermando inoltre, intervenendo all’assemblea costituente de La Destra di Storace, che in futuro non si possa fare a meno di tale tipo di energia, invece di cercare una maggiore valorizzazione ed utilizzo di altre fonti, magari rinnovabili. Dunque siamo dinanzi ad una vera e propria apertura portata avanti da Berlusconi nei confronti del nucleare. Infatti, ad avvalorare l’ipotesi di una possibile produzione nel nostro paese di tale energia, considerata tra l’altro ad alto rischio, vi sono le dichiarazioni di Berlusconi in occasione dell’inaugurazione del nuovo elettrodotto che collega la nostra rete elettrica a quella svizzera dove attestava che in futuro non si ha bisogno di altre fonti di energia se non quella nucleare. Questo è un tema particolare che viene giustamente considerato, da parte di un’intera generazione di ambientalisti e uomini di sinistra, di importanza cruciale. Infatti a tali affermazioni di Berlusconi, hanno fatto seguito vari interventi di vari esponenti politici come ad esempio Ermete Realacci, deputato del PD, che attacca l’ipotesi secondo cui il nucleare può risolvere il problema del costo dell’energia. Un altro importante nodo da non sottovalutare è in relazione al referendum del 1987 con cui gli italiani liberamente decisero l’uscita dal nucleare, e quindi il governo non potrebbe cambiare tale decisione, a cui si collega anche il protocollo di Kioto, sul quale il governo tra l’altro deve spiegare la sua inadempienza. Suddetto protocollo impone di risolvere il problema legato all’elevato costo dell’energia in un modo totalmente diverso da quanti ipotizzato da Berlusconi. Il governo invece di risolvere i reali problemi che colpiscono le famiglie, i lavoratori, e le imprese italiane si concentra piuttosto su una possibile creazione di centrali, considerando uno dei motivi principali della perdita di competitività delle nostre imprese, l’energia, senza tenere in considerazione che la maggior parte dei paesi occidentali hanno deciso di abbandonare tale tipo di energia perché considerata troppo costosa e rischiosa. Il ritorno al nucleare comporterebbe tuttavia, non solo una mancata risoluzione del problema degli elevati costi perché vi sono costi per costruire le centrali e per smaltire le scorie e costi anche dovuti al necessario interventi d’imprese esterne poiché l’Enel ha perso l’esperienza che aveva in materia, ma anche un’opposizione degli amministratori locali tenendo conto dell’alta impopolarità di simili decisioni. Secondo me si devono tenere in considerazione, trattando un tema così delicato e fondamentale, da un lato la possibilità che, il ricorso al nucleare, visti i costi, l’elevata impopolarità ed il non rispetto del protocollo di Kioto, sia fatto appositamente per qualcuno vicino al presidente del consiglio che ha interesse alla costruzione di centrali nucleari in Italia, e dall’altro lato le esperienze degli altri paesi, alcuni sempre avversi altri prima favorevoli ora avversi al nucleare, che si sono attrezzati per dipendere sempre in maniera minore da energie non rinnovabili, puntando soprattutto su nuove strategie connesse a fonti di energia rinnovabili. Probabilmente andrebbe presa come punto di riferimento la Germania, dove basando tutta la produzione d’energia su fonti rinnovabili non solo si sta rispettando l’ambiente ma si sta ricavando anche un’ aumento della produzione di energia, un aumento dell’occupazione ed una conseguente riduzione dei costi.


Federico Scirpa

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domenica 15 febbraio 2009

“Mamadou va a morire”. Intervista a Gabriele Del Grande



“Mamadou va a morire” è il racconto di un giovane giornalista che ha seguito per tre mesi le rotte dei suoi coetanei dalla Turchia al Maghreb e fino al Senegal. Un libro che ritrae le storie di tanti giovani con il sogno di passare il grande Mediterraneo per arrivare nell’occidente. Storie che molte volte non finiscono con un lieto fine. Il Mediterraneo si trasforma per tanti in un enorme cimitero, ma non tutti ci arrivano. C’è chi muore per il caldo del Sahara, per la violenza della polizia, per il freddo, c’è chi muore sui campi minati e chi per fame. Un libro che riesce a dipingere un quadro lucido del fenomeno immigrazione, smentendo la tesi dell’invasione dei clandestini nei nostri paesi. Abbiamo parlato di tutto questo con l’autore: Gabriele Del Grande.
In “Mamadou va a morire” segui le rotte dei tuoi coetanei che sognano le nostre coste. Cosa ti ha spinto a intraprendere un viaggio cosi lungo e duro, quale esigenza ti ha motivato?
Lavoro come giornalista. Lavoro raccontando la realta'. Mi trovai per caso di fronte a una mole di notizie impressionanti sui decessi dei migranti lungo le frontiere europee, nel Mediterraneo e non solo, a meta' del 2005. Prima ideai l'osservatorio on line Fortress Europe, http://fortresseurope.blogspot.com . Poi decisi di partire, perche' c'era la necessita' di rompere il silenzio su quelle stragi. E di farlo assumendo il punto di vista delle vittime. E quindi della riva sud di questo mare.
Nel tuo libro sottolinei più volte che quella degli immigrati clandestini è un’invasione che non c’è, ma per quale motivo allora il problema immigrazione viene visto come primario, e soprattutto viene imposto dal punto di vista della sicurezza? Perché i grandi numeri, che tu riporti, di uomini inghiottiti dal Mediterraneo non fanno notizia?
Da anni siamo vittime di una propaganda bipartisan sull'immigrazione, basata su una serie di menzogne. Lo dimostrano i dati. Nel 2008 sono state intercettate circa 36.000 persone nel Canale di Sicilia. Nello stesso anno il governo Berlusconi, per mano del suo ministro dell'interno Roberto Maroni, ha chiesto l'ingresso di 150.000 lavoratori stranieri. Che significa? Che per una persona che arriva via mare, la nostra economia ne chiede altre 4. E nel 2007 il rapporto era di uno a dieci. Il vero problema e' l'impossibilita' di viaggiare legalmente dai paesi poveri verso l'Europa.
I dati sui morti non fanno notizia per tanti motivi. Prima di tutto sono i morti degli altri. E non i nostri. In secondo luogo c'e' una forte disinformazione. Che va oltre il fenomeno immigrazione. Il giornalismo in Italia e' sempre piu' un circuito di comunicazione che corre sui binari delle dichiarazioni dei politici e delle loro vuote polemiche. Le notizie non fanno notizia se non c'e' la dichiarazione del politico. E da parte dei politici c'e' una precisa volonta' a non assumere il dramma delle migliaia di morti in mare. Perche' significherebbe assumersene anche la responsabilita'. Meglio gridare all'invasione e fare voti intorno alla paura.
Ritieni che i nuovi provvedimenti sulla sicurezza, penso ai medici che possono denunciare i clandestini, vanno nella direzione giusta?
Vanno nella pericolosissima direzione della persecuzione di una minoranza consistente nel nostro paese. I circa 500.000 stranieri senza permesso di soggiorno che vivono e lavorano qui.
Cosa ti ha colpito maggiormente vedendo e sentendo le storie dei migranti? Quale fatto ti ha scosso di più?
Mi ha colpito la forza e la determinazione di chi investe tutto, di chi rischia la vita, per regalarsi un futuro dignitoso e libero.
Del tuo libro mi hanno colpito la disperazione dei volti che hai incontrato nel tuo cammino, la violenza a cui essi erano sottoposti. Cosa hai provato a vedere i tuoi, i miei coetanei con vite così diverse dalle nostre?
In realta' non sono cosi' diverse. Lo dico in senso provocatorio. Si studia, si sogna, si ama, a nord come a sud. Ed e' questa umanita' che abbiamo rimosso. L'altro per la nostra societa' ormai e' solo una massa anomala, una collettivita' pericolosa che avanza. Un'onda. C'e' chi li chiama criminali. E chi li chiama disperati. Non sono ne' una cosa ne' l'altra. Sono individui con le loro storie e le loro personalissime ragioni.
Nei ringraziamenti citi un episodio in cui restasti bloccato al confine tra Marocco e Algeria senza un centesimo in tasca, e decidesti di scrivere agli amici un appello intitolato “Trenta euro per la vita”. Quali altri inconvenienti, più o meno graditi, ti si sono presentati?
Molti altri, ma non ha senso parlarne. Il libro non e' un racconto di viaggi. Ma un reportage su una delle piu' grandi tragedie dei nostri tempi. Rispetto alla quale ho cercato di far scomparire dalle pagine la mia persona


Giorgio Ruta



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sabato 14 febbraio 2009

Affissioni abusive, un fenomeno difficile da contrastare



MODICA (RG) – Non sembra arrestarsi il fenomeno delle affissioni abusive in città. Dopo lo scempio che si è consumato durante la tornata elettorale dello scorso anno che ha visto praticamente invaso ogni angolo della città di manifesti e volantini di cui ancora oggi vi sono le tracce, il triste spettacolo non accenna a diminuire grazie a chi incivilmente, illegalmente e impunemente si permette di sporcare la città. Ogni superficie visibile, infatti, diventa il posto propizio per affiggere manifesti di ogni tipo, persino i muri dei monumenti della città, patrimonio Unesco, sono diventati oggetto di tale increscioso scempio, con un duplice danno, visto che chi affigge abusivamente, evade la tassa sulle pubbliche affissioni e danneggia l’immagine della città. Diverse sono state le denunce che negli ultimi mesi si sono susseguite. A settembre 2008, il movimento politico, Una Nuova Prospettiva, denuncia una vera e propria guerra tra due istituti scolastici privati, in corso da circa due mesi e combattuta a colpi di manifesti abusivi, ovvero affissi senza alcuna autorizzazione degli uffici comunali ed in spazi non consentiti. «Nonostante le multe già comminate dagli uffici preposti – rilevano gli attivisti del movimento – con prepotenza e arroganza, i responsabili delle due scuole insistono nella loro battaglia per la visibilità a tutti i costi. Pensiline alle fermate degli autobus, cabine telefoniche, palazzi del centro storico e qualunque altra superficie utile ad alloggiare un manifesto è letteralmente presa d'assalto. Spesso, inoltre, i manifesti vanno a coprirne altri regolarmente autorizzati e affissi dagli addetti dell'ufficio affissioni. Tutto ciò è insopportabile, specialmente se si considera che tali istituti pretenderebbero poi di insegnare qualcosa ai nostri ragazzi». In quel caso il movimento chiese agli organi preposti di provvedere non soltanto alla applicazione delle multe previste, ma di procedere anche alla rimozione e/o copertura dei manifesti e all'addebito di eventuali spese di pulizia e ripristino dei supporti rovinati. Auspicò, inoltre, una rapida riorganizzazione di tutto il settore della pubblicità e delle pubbliche affissioni, al fine di recuperare notevoli somme dalla lotta all'abusivismo ed evitare gli indecorosi spettacoli ai quali è sottoposta la città. A ottobre 2008, il consigliere provinciale di Alleanza Nazionale, Marco Nanì, lamenta le condizioni di degrado del centro storico, rilevando, in particolare lo stato di abbandono in cui versa il cine-teatro “Moderno”, da tanti anni sottoposto a lavori di ristrutturazione interna ed il cui prospetto è continuamente e selvaggiamente ricoperto di manifesti. Nanì evidenzia poi le pessime condizioni delle pensiline delle fermate degli autobus e delle cabine telefoniche, oltre ai pali della luce, trasformati in bacheche per manifesti, volantini ed annunci vari. Lo scorso mese di gennaio un’altra denuncia, in merito al triste fenomeno, è stata fatta da Francesco Ruta, componente dell’associazione “Il Clandestino”, il quale mette in evidenza che: «A Modica la situazione delle pubbliche affissioni è veramente pessima, chiunque può affiggere un qualsiasi manifesto, di qualsiasi dimensione e con qualsiasi contenuto, senza pagare alcuna tassa. Tutto ciò – aggiunge Ruta – è facilitato dal mal funzionamento degli organi preposti al controllo e alla repressione di tali comportamenti, in cui c’è il risparmio da parte dei titolari dei manifesti, ma soprattutto è notevole il danno che si arreca all’estetica della città e alle casse del Comune di Modica, dal momento in cui si evade dal pagamento della tassa delle pubbliche affissioni. Esistono ditte che da un anno circa, costantemente e senza alcuna difficoltà, commettono ripetutamente lo stesso reato. Non si può continuare a far finta di non vedere da così tanto tempo – incalza Ruta – è ora di dare una svolta decisiva nel campo delle pubbliche affissioni, per dare dignità all’estetica della nostra città e per fare entrare un po’ di liquidità nelle casse del Comune».


Marcello Medica

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venerdì 13 febbraio 2009

Pallanuoto, VSP Sikla nuoto pronta al grande salto


Inizio di stagione a dir poco strepitoso per la Very Sicilian People Sikla Nuoto di Ignazio Fiorito, che dopo soli quattro turni di campionato si trova da sola in vetta alla classifica e con una differenza reti davvero terrificante; sono infatti ben 67 le realizzazioni messe a segno dalla squadra arancio verde che ha subito solo 18 reti. Uno score assolutamente invidiabile che dimostra tutto il valore del gruppo ibleo allestito dalla società con l’intento di ottenere finalmente quest’anno la promozione in seria A2, che in caso di raggiungimento del primo posto in classifica al termine della stagione garantirà, a differenza delle stagioni precedenti, la promozione diretta senza dover quindi disputare i play off. La società del presidente e allenatore Ignazio Fiorito infatti ha vinto tutte le partite disputate finora, dimostrando la propria superiorità e mettendo in mostra elementi di assoluto valore in grado di trascinare la squadra al raggiungimento dell’obiettivo fissato ad inizio stagione. I punteggi con cui le ragazze arancio verdi sono riuscite ad imporsi sulle avversarie sono stati i seguenti: 14-11 nella partita d’esordio giocata in casa contro la Blu Team Catania, 26-1 contro l’Igea Palermo in trasferta, 17-3 contro la Polisportiva Messina tra le mura amiche e 10-3 nelle acque della piscina di Nesima contro la Brizz Nuoto Acireale. La squadra iblea ha mostrato in ogni partita una partenza piuttosto contratta, che ha portato vantaggi piuttosto risicati al termine dei primi parziali; ma nel secondo e nel terzo tempo le delfine arancio blu hanno saputo dimostrare sempre la propria superiorità netta schiacciando le avversarie e portando a casa l’intera posta in palio. Nonostante questo avvio di stagione fulminante coach Fiorito preferisce mantenere i piedi ben saldi per terra e non si lascia andare a facili entusiasmi, consapevole del fatto che il cammino è ancora lungo e pieno di insidie, ma non può certamente nascondere la propria soddisfazione nei confronti di una “creatura” che sta rispondendo alla grande a quelle che erano le previsioni e le aspettative all’inizio della stagione agonistica. Bisognerà attendere gli scontri diretti con le corazzate del girone, ovvero Salernitana, Messina e Palermo, tutte e tre provenienti dalla serie A2, per poter verificare l’effettiva tenuta della VSP Sikla Nuoto, ma si può già affermare che quella appena cominciata si preannuncia una stagione ricca di soddisfazioni per un movimento che in provincia di Ragusa è in continua crescita. Inoltre a differenza delle stagioni passate quest’anno il girone è costituito da otto squadre, quindi bisognerà valutare anche la tenuta sulla lunga distanza delle ragazze iblee, abituate a disputare un campionato a quattro squadre e quindi un torneo quasi inesistente. La società ha comunque manifestato fin dall’inizio quali erano gli obiettivi stagionali, e c’è da scommetterci che continuando così difficilmente la prima piazza, e con essa la promozione, potranno sfuggire a questo gruppo; bisognerà attendere solo qualche settimana per vedere se questo avvio di stagione è solo un “fuoco di paglia”, o se i sostenitori possono già sognare la tanto attesa serie A.


Giovanni Lonico

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giovedì 12 febbraio 2009

Cassa integrazione o morte? Scegliete


Lavoratori e lavoratrici, o ve ne state a casa oppure vi mandiamo la polizia. Potrebbe essere lo slogan dell'attuale governo; dietro lo scudo drammatico ed apocalittico della crisi si celano tante piccole grandi verità, tante responsabilità e tante azioni che con la crisi non c'entrano. Non del tutto, per lo meno. A Milano Silvano Genta, proprietario dell'industria metalmeccanica Innse, decide di punto in bianco di inviare un telegramma ai suoi dipendenti licenziandoli. Mutate strategie aziendali pare: i conti non sono in rosso, nessun debito, niente creditori alle calcagna.
Semplicemente Genta ha bisogno dei fabbricati e dei terreni, l'Expo di Milano incalza e figurarsi se si sta a perder tempo con cinquanta operai che da un giorno all'altro si ritrovano in cassa integrazione. Solo che gli operai, in cassa integrazione dal 25 agosto, non ci stanno e decidono di occupare le strutture: così qualche giorno fa, intorno alle cinque di mattina, la polizia carica la folla, composta anche da membri dei centri sociali, varcando i cancelli con camion e manganelli.
Non c'è solo la Fiat in crisi ma anche aziende che non ricevono miliardi dal governo. Solo che la Innse non era in crisi, ma il governo non c'è ugualmente neanche quando non deve sborsare soldi.
Spostiamoci un attimo e andiamo in Parlamento. Recentemente è stato approvato il decreto mille-proroghe che, già dal nome, non promette nulla di buono. Infatti.
Gli statisti e costituzionalisti della Lega hanno inserito, tra la baraonda di “se” e di “ma” che si profila nel testo, un emendamento di cui ovviamente non sentirete parlare nei tg o tra le righe della maggior parte dei quotidiani.
Se il decreto verrà approvato anche alla Camera, grazie ad i vari Calderoli&Co le aziende che hanno meno di 15 dipendenti potranno non fare eleggere tra gli stessi i rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza, per semplificare Rls.
Di cosa si occupano ( o si dovrebbero occupare) i Rls? Controllare che le norme di sicurezza siano rispettate sul posto di lavoro, sensibilizza i dipendenti ad avere le giuste precauzioni, denuncia (o dovrebbe denunciare) l'azienda in caso di irregolarità: diamine, tutti costi in più per un imprenditore!
Un altro emendamento eliminerà persino il responsabile della sicurezza territoriale mentre si è deciso anche di rimandare l'entrata in vigore delle norme a tutela dei portuali, particolarmente colpiti sul fronte infortuni (appunto, “milleproroghe”).
La domanda sorge spontanea: no, inutile chiedersi come il governo abbia potuto inserire nel decreto un emendamento simile, lasciamo perdere le domande retoriche.
La domanda è: i sindacati dove sono? Dov'è Epifani? Dov'è la Cisl, la Uil, la Fiom, l'Ugl e così via?
Forse anche questa domanda è retorica e me ne scuso. Quindi, visto che abbiamo voglia di concretezza e di numeri certi, è sicuramente meno retorico e più reale osservare il bilancio delle vittime sul lavoro dal primo gennaio 2009 ad oggi: 117 morti, 117.296 infortunati e 2932 invalidi. Caspita, questa crisi economica.

Rosario Di Raimondo

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Cavallino “pazzo”, emergenza rientrata


Questa è la stagione delle entrate e delle uscite da parte di diversi politici dai rispettivi partiti dello scenario provinciale; molti sono stati gli abbandoni, gli addii e le entrate, ma quella che ha fatto più scalpore e soprattutto che ha avuto i risvolti più “comici” è stata la vicenda di Tato Cavallino, consigliere comunale del Pdl a Modica. C’è da ricordare che Cavallino ha cominciato la sua “splendida” carriera politica tra le fila dell’Udc, poi ha abbandonato il partito dello scudo crociato per approdare a Forza Italia, nel quale è stato uno degli “eliminati” da Riccardo Minardo dalla lista per le amministrative del 2007. Infine Cavallino ha militato nel Pdl per poi dichiararsi indipendente durante il Consiglio Comunale del 2/02/09, dicendo che non si sentiva più a suo agio nel partito di Berlusconi. Per qualche giorno abbiamo assistito ad attacchi incandescenti gridati dai vari esponenti del Pdl modicano, tra cui quello dell’On. Nino Minardo, il quale scagliava accuse contro il “traditore” Cavallino e contro i vertici dello Iacp ( Istituto Autonomo Case Popolari) dicendo che: “…ribadisco la mia amarezza mista a rabbia di fronte alle motivazioni che hanno travagliato Cavallino portandolo ad esprimere un malessere che poco aveva di politico ma molto invece di personale. Un malessere legato alle imposizioni ed alle mortificazioni che ha subito sul suo posto di lavoro, lo IACP, e che hanno solo una matrice politica, quella del partito di riferimento del presidente di quell’istituto. Per questo ribadisco la mia richiesta al Presidente Franco Antoci di rimuovere il vertice di quell’istituto perché non è possibile tollerare ancora che chi dovrebbe pensare esclusivamente ai problemi della gente che abita negli alloggi popolari della nostra provincia, pensi invece a far politica, lo dichiari in modo palese sui giornali e nelle tv, e lo faccia anche in modi poco consoni come dimostra la vicenda di Tato Cavallino” (FONTE www.radiortm.it – 07/02/09). Le affermazioni fatte da Nino Minardo sono da considerarsi gravissime e se fossero vere, si dovrebbero portare avanti azioni legali contro i vertici dello Iacp per aver messo in atto atteggiamenti contro Tato Cavallino sul posto di lavoro. Altra cosa importante della vicenda “Cavallino andata e ritorno” è il legame totale che c’è con l’ente per le case popolari e con la sua poltrona, detenuta da un personaggio vicino all’Mpa ibleo; ovviamente tale posto di potere e di riscossione elettorale farebbero gola a diversi partiti, ma per voce di Nino Minardo, quando afferma che il presidente della Provincia Antoci dovrebbe rimuovere il presidente dello Iacp, sembrerebbe che proprio al Pdl interesserebbe questa carica. L’ultima analisi fondamentale da fare sulla questione è quella legata al ritorno di Cavallino nel partito, avvenuta pochi giorni dopo la dichiarazione d’indipendenza. Cosa ha fatto cambiare idea al consigliere del Pdl a tal punto di tornare sui suoi passi? Cavallino ha dichiarato alla stampa che “Nessuna promessa di assumere posizioni di potere, semplicemente un confronto forte e leale, con l’onorevole Nino Minardo, con tutto il partito e con quanti mi sostengono giorno per giorno nella mia azione politica – sottolinea Cavallino - in cui sono stati chiariti i modi di affrontare e risolvere alcune problematiche, oltre alla riconferma della stima e dell’affetto che tutti hanno dimostrato nei miei confronti…” (FONTE www.radiortm.it – 10/02/09). Dunque il rientro di Cavallino è dettato solamente da un chiarimento avuto con Nino Minardo, il quale non avrebbe promesso nessuna carica di potere. Probabilmente se ci saranno ancora pressioni sulla rimozione di Giovanni Cultrera da Presidente Iacp da parte del Pdl, e il Presidente della Provincia Antoci asseconderà la richiesta, la poltrona potrebbe essere usata per “ripagare” il ripensamento di Cavallino, il quale ha deciso in pochi giorni di rientrare nel Popolo della Libertà.


Francesco Ruta

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mercoledì 11 febbraio 2009

Una diatriba a svantaggio degli inquilini degli alloggi


Una diatriba politica sulla carica di Presidente dello Iacp di Ragusa, attualmente detenuta dall’avv. Giovanni Cultrera, in quota MpA, è quella che ha infuocato i giorni scorsi, riempiendo le pagine dei mass-media. Una lotta di potere, in realtà, tra Pdl e MpA per tale carica di sottogoverno e che, a nostro avviso, non ha nulla a che vedere con i reali problemi che, purtroppo, si trova ad affrontare quotidianamente chi vive negli alloggi popolari della provincia. La realtà e più amara di quanto si possa credere. Basta andare a constatare il degrado e l’abbandono della gran parte degli alloggi popolari per capire che la responsabilità è di tutti i Presidenti che da 30 anni a questa parte si sono succeduti al vertice dello Iacp. La gente che vive in tali alloggi è stanca delle tante promesse e spera soltanto che i politici la smettano di litigare per spartirsi le poltrone e diano atto, invece, alle manutenzioni e ai servizi necessari alla dignitosa vivibilità in tutti gli alloggi dello Iacp di Ragusa.


Marcello Medica

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martedì 10 febbraio 2009

Tra moralismi e dignità


In questo periodo nel nostro Paese, fiero della sua storia prevalentemente democratica, stanno accadendo fatti degni della riprovazione di chiunque.
Parlando di una donna, la cui vita si è spenta a 17 anni e che adesso è definitivamente morta, tutti si appellano e si sono appellati a sentimenti di umanità: chi la voleva ancora dipendente da un sondino e chi ha per lei affermato il diritto a morire.
Manifestanti da entrambe le parti
si "scontrano" per far valere ognuno la propria morale e in questo la Chiesa non può che godere vedendo pronunciare nuovi appelli alla sua sovranità spirituale e morale.
Di tutte le immagini che ci hanno fatto sorbire in questi giorni a proposito di questa vicenda ce ne è stata una che a mio parere è stata particolarmente degna di sconcerto: una donna impellicciata, fuori dall'ospedale in cui è stata Eluana Englaro, teneva in mano una bottiglia d'acqua e un pezzo di pane e sul petto aveva un cartello con la foto di quella diciassettenne che vorrebbe sfamare.
Chiederei a questa donna di provare a trovare ancora quella ragazza e quella vita nella donna che i medici hanno aiutato a morire, le chiederei di provare a vedere se esiste ancora un sorriso od una qualsiasi emozione in una donna il cui cervello è morto ormai da anni e di provare a mettersi al posto di un padre che ha per tanto tempo sperato e che per tanto tempo ha chiesto solo la restituzione della dignità ad una figlia morta da tempo, ma solo a metà, attraverso una nuova e completa morte.
A questa immagine si sono aggiunti i goffi appelli all'umanità del nostro presidente del consiglio in supino ossequio alle pronunce della Chiesa Cattolica.
Il bigottismo non ha "salvato" una vita fantasma e in questo sta riuscendo ad uccidere la dignità della vita umana, l'autodeterminazione e la democrazia.

Marta Iozzia


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giovedì 5 febbraio 2009

Degrado e abbandono nell’Area industriale Modica-Pozzallo


È iniziata, per proseguire per tutto il mese di febbraio, una raccolta di firme per la manutenzione e i servizi nell’area industriale Modica-Pozzallo. L’iniziativa, promossa dallo Sportello Cgil che ha sede nel Centro Direzionale Asi di contrada Fargione, è finalizzata a chiedere al Consorzio ASI di Ragusa e, per le specifiche competenze, ai Comuni di Modica e Pozzallo una serie di interventi urgenti di manutenzione straordinaria, di sicurezza e di igiene ambientale in un’area a forte insediamento produttivo, industriale e commerciale, ivi compreso il Porto di Pozzallo e il retroporto della struttura portuale. In particolare l’iniziativa ha lo scopo di chiedere, alle Autorità preposte, una serie di interventi urgenti finalizzati al ripristino di una situazione accettabile dal punto di vista igienico-sanitario, dei servizi, delle infrastrutture, della sicurezza, della raccolta dei rifiuti solidi urbani in seno all’intera area industriale, ivi comprese, quella retroportuale e quella del Porto commerciale di Pozzallo. “Un’area – si legge nel modulo di sostegno alla proposta – destinata ad un ulteriore sviluppo produttivo, occupazionale e sociale che certamente non può continuare a convivere con il degrado, l’incuria, l’abbandono, la sporcizia in cui in questo momento è colpevolmente condannata a fare quotidianamente i conti”. Tale modulo può essere sottoscritto, sia dai lavoratori dipendenti delle aziende che operano nell’intera area industriale, sia dai titolari delle stesse imprese. Il documento sarà fatto circolare in tutte le unità produttive esistenti e nei vari cantieri aperti. Sarà possibile altresì firmare, sia nei locali della mensa interaziendale, sia presso la sede dello Sportello Cgil allocato nel Centro Direzionale ASI ed aperto dal lunedì al venerdì dalle ore 11.30 alle ore 17.30.

Marcello Medica

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mercoledì 4 febbraio 2009

Giuseppe Gatì, un siciliano d'altri tempi


"Giuseppe Gatì Savio, nato ad Agrigento il 18 /10/1986, residente a Campobello di Licata (AG), cittadino libero. Ho voluto specificare il mio "status", per combattere il servilismo che ogni giorno di più avvolge il nostro Paese. Ho scelto di rimanere in Sicilia, di non andare via anche se vivere qui è duro, durissimo...". Così si presentava sul suo blog Giuseppe Gatì, morto sabato mentre lavorava in campagna aiutando suo padre.
Un siciliano d'altri tempi: fiero, lavoratore, affezionato alla famiglia, coraggioso e buono. Sulla stampa perbene ha avuto quattro misere righe, da morto sul lavoro. Qualcuno, di sfuggita, ha ricordato che aveva contestato Sgarbi in Sicilia: ma questo certamente non basta a farne un personaggio mediatico, ci mancherebbe. Ha lavorato, ha studiato, ha fatto la sua breve utile vita: lontano dai palazzi, completamente estraneo al mondo artificiale e spregevole dei Vip.
Un pezzo di questo mondo, con la consueta arroganza, a un certo punto è piombato in Sicilia, con le fattezze di Sgarbi, chissà perché. I "cappeddi", i notabili, i nobili culo-a-ponte di Agrigento e Salemi si sono affrettati a servirlo, a riverirlo abiettamente, a strisciargli ai piedi. Giuseppe, ragazzo siciliano, invece no: gli si è piantato davanti e "Viva l'antimafia! - gli ha urlato in faccia - Viva Caselli!". I servi guardaspalle siciliani, fra le urla degli altri servi e gli applausi del pubblico servo, lo hanno afferrato e portato via. Ma là, per un istante, s'è udita la voce vera della Sicilia, ed era una voce giovane, senza paura.
Sbava, Sgarbi, strisciate, servi, ringhiate la vostra rabbia quanto volete: la voce vi azzera tutti, è più forte di voi. Viva Caselli, viva la nostra antimafia, viva sempre Giuseppe ragazzo siciliano.

Riccardo Orioles

Fonte: www.itacanews.it

Info:

Per vedere il video della contestazione a Sgarbi: http://www.youtube.com/watch?v=bOPilAqEt20

Il blog di Giuseppe Gatì: www.lamiaterraladifendo.it


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martedì 3 febbraio 2009

La “Giornata della Memoria” a Palazzo San Domenico



“Da Modica a Cracovia per non dimenticare”, questo il titolo della manifestazione celebrativa della “Giornata della Memoria” che si è svolta, lo scorso 30 gennaio, nell’aula consiliare di Palazzo San Domenico. La serata rievocativa, che si è aperta con il saluto del Sindaco, Antonello Buscema, è proseguita col puntuale intervento del prof. Giuseppe Barone, docente di storia contemporanea dell’Università di Catania, il quale ha brevemente descritto, riportando cifre e citando esperienze, il dramma dell’umanità offesa e di un popolo sterminato dalla follia della guerra.
A seguire, l’esibizione dal vivo del gruppo “Trinakant” con la loro musica ebraica che ha fatto da colonna sonora alla quinta edizione del “Treno della Memoria”. Lo scorso 24 gennaio, infatti, alla Stazione centrale di Milano, la band iblea ha inaugurato la manifestazione con un concerto alla presenza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ed il 26 gennaio, ha rappresentato l’Italia nel concerto conclusivo al “Centrum Kultury Rotunda” di Cracovia. «Un’esperienza che ti cambia la vita». Così i “Trinakant” hanno commentato la loro visita ad Auschwitz. La serata a Palazzo di Città si è conclusa tra gli applausi e le congratulazioni dei presenti e la consegna, da parte del Sindaco alla band, della stampa raffigurante il “Giuramento di Castronovo”.

Marcello Medica



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lunedì 2 febbraio 2009

Radiografia di due delitti di mafia, celati dal cono d’ombra. Intervista a Carlo Ruta


Attraverso una inedita investigazione dei delitti Tumino e Spampinato, lo storico, con Segreto di mafia, illumina gli scenari in ombra dell’est siciliano nei primi anni settanta, quando Catania costituiva, per numeri, la capitale del neofascismo italiano e l’isola tutta una sponda strategica del regime greco dei colonnelli.
È il caso di delineare anzitutto lo sfondo. Cosa rappresentava l’est siciliano negli ultimi anni sessanta e all’imbocco del decennio successivo?
Negli anni sessanta Catania veniva chiamata la Milano del sud. Siracusa e Ragusa venivano reputate le province più amene dell’isola. L’intera fascia ionica, da Messina agli Iblei, veniva considerata, per tradizione, priva di fenomeni mafiosi. In realtà, relativamente a quel decennio, la situazione era ben complessa. Dopo la chiusura del porto franco di Tangeri, nel 1960, la mafia siciliana aveva sottratto ai marsigliesi il predominio internazionale del contrabbando dei tabacchi lavorati. Malgrado i deficit di radicamento, aveva quindi dovuto rendere l’est della Sicilia un territorio pienamente operativo, per due ragioni: la maggiore vicinanza dalle nuove sedi di deposito, localizzate di massima lungo le coste iugoslave, albanesi e greche; la buona reputazione di cui godeva l’area, che rendeva le coste maggiormente permeabili, ai fini degli sbarchi.
Cosa costituiva l’area iblea per Cosa Nostra?
La provincia ragusana poté godere, per certi versi, di uno «statuto» a sé. Pur mancante infatti di una tradizione, di una organizzazione di affiliati, propriamente detta, divenne un’area di rilievo strategico, in virtù della sicurezza inusuale dei suoi litorali. Se le province di Siracusa e Messina, prive di famiglie organizzate, per ragioni di contiguità territoriale, vennero poste allora sotto l’autorità del boss catanese Giuseppe Calderone, il territorio ibleo, al pari di alcune aree campane, finì sotto la diretta «giurisdizione» dei boss contrabbandieri di Palermo, che ne fecero una sorta di enclave, amministrato localmente dal boss vittoriese Giuseppe Cirasa. E le presenze nell’Ippari, lungo gli anni settanta e ottanta, di personaggi come i Rimi di Trapani, i Greco di Palermo, i cugini Salvo di Salemi, il vice capo della commissione Girolamo Teresi, ne furono un significativo risvolto.
Fatta questa premessa, circa i caratteri del cono d’ombra, andiamo allo specifico dei due delitti del 1972. Da un'ampia sequela di indizi esposti in Segreto di mafia, emerge che l’uccisione dell’ingegnere Angelo Tumino, palazzinaro e viveur ragusano di una certa fama, potè essere originato da uno sgarro, sullo sfondo dei contatti che il medesimo, grosso collezionista d’arte, aveva stabilito con il mercato illegale, sotto l'egida dei boss contrabbandieri che operavano nell’area. Tumino era allora un colluso o una vittima?
Dai dati disponibili non emerge che l'ingegnere fosse un colluso: che fosse uso, per esempio, a ricevere regalie in cambio di favori. Né del resto era in condizione di farne, perché prese a interessarsi di cose d'arte negli ultimi tre-quattro anni della sua vita, quando non ricopriva cariche pubbliche, aveva ridotto notevolmente i propri impegni nell'edilizia residenziale, si era pressoché ritirato dalla vita mondana, recava infine un figlio da accudire, nato da una relazione occasionale. Tanti elementi fanno evincere piuttosto che Tumino, nel momento più gramo della sua carriera, si introdusse nel mercato illegale da privato, convinto che con la mafia si potessero fare affari senza rischi. E con buona probabilità, proprio la convinzione di avere a che fare con contraenti normali, tale da fargli sentire normale pure la vicinanza di un pluripregiudicato come Giovanni Cutrone, che si qualificava come esperto d’arte, gli fu fatale. L’ingegnere non dovette calcolare a sufficienza che l’insorgere di un qualsiasi contenzioso lo avrebbe esposto al rischio di vita. In definitiva, non doveva conoscere a fondo la mafia. E anche questo comprova che, per quanto disinvolto nel condurre i propri affari, non poteva esserne autenticamente colluso.
Come si pone in tale quadro la figura di Roberto Campria, figlio del presidente del tribunale di Ragusa e grande amico di Tumino? Fu un colluso o una vittima?
L'ipotesi che il giovane Campria fosse un colluso appare anch’essa inattendibile. Con buona probabilità, non lo fu in nessun passaggio della vicenda. Era un giovane problematico, recante una personalità fragile. Si ritrovò, verosimilmente, nella medesima condizione del Tumino, perché a questo si accompagnava, seguendone le movenze e gli stili. Di certo conosceva le cose del passato recente, per esserne stato testimone. Non poteva essere quindi all’oscuro delle ragioni per le quali il suo amico era stato ucciso. E già una cosa del genere, tenuto conto del carattere e soprattutto dello status del Campria, che non poteva essere appunto quello di un colluso, dovette bastare a mettere in allarme gli uccisori del palazzinaro. In definitiva, a prescindere da tutto, esistevano le condizioni perché il giovane fosse tenuto sotto osservazione. Ma numerosi fatti, dal 25 febbraio 1972 in avanti, testimoniano che la situazione dovette essere ben più complessa. Il figlio del magistrato non recava le movenze di chi conosce solo le esteriorità e gli antecedenti di una storia. Sin dai primi momenti si mosse goffamente, manifestando atteggiamenti che destarono sospetti. Circa gli spostamenti nel giorno del delitto, di cui diede testimonianza appena un giorno dopo, fu inoltre sconfessato clamorosamente da una testimone, Elisa Ilea, le cui parole, se meglio considerate, avrebbero potuto costituire il punto di svolta dell’intera inchiesta giudiziaria. Le movenze del Campria erano in sostanza quelle di chi interagisce con gli eventi in modo sincrono, muovendosi magari con difficoltà, ma con una forte cognizione delle cose.
Il figlio del giudice poté avere responsabilità dirette riguardo alla morte dell’ingegnere?
Il sospetto, emerso sin da subito, rimane fino a oggi privo di riscontri e manifesta delle incongruenze. È invece altamente verosimile che Campria fosse presente, quale testimone involontario, sulla scena dell’uccisione oppure ad eventi direttamente collegati al delitto. In tutti i casi, le conoscenze del medesimo, del presente più che delle cose passate, del delitto più che degli eventi scatenanti, dovettero creare non poca inquietudine negli uccisori di Tumino, tanto più dopo l’irruzione in scena del giornalista Giovanni Spampinato, appena due giorni dopo il delitto.
Perché gli uccisori non provvidero a eliminare subito Campria, se ravvisarono nella sua persona un testimone scomodo e pericoloso?
Gl’indizi passati al vaglio suggeriscono una ipotesi congrua. L’eliminazione fisica del Campria avrebbe potuto avere effetti devastanti. Attraverso una sequela di messaggi depistanti, il caso Tumino era stato ricondotto, tanto in sede istruttoria quanto nelle voci della città, lungo tre percorsi alternativi, tutti inconsistenti: il delitto passionale, il regolamento di conti nell’ambito del commercio antiquario, il delitto per rapina. Ebbene, se dopo quel 25 febbraio fosse stato ucciso il figlio del più alto magistrato di Ragusa, le tre piste sarebbero sfumate in un baleno. A quel punto, la pista della grande criminalità sarebbe emersa clamorosamente e senza indugio. Il cono d’ombra del sud-est ne sarebbe uscito interamente illuminato, dieci anni prima che Giuseppe Fava, con l’esperienza de «I Siciliani», e poi con la sua morte, ne mettesse a nudo l’essenza, i traffici, i potentati occulti. Le strategie dell’ordine pubblico ne sarebbero potute uscire quindi rivedute, gli organici delle caserme rafforzati. In definitiva, i traffici che si svolgevano nell’area, garantiti fino allora dal mito della Sicilia senza mafia, di fatto da una impenetrabile sordina, sarebbero potuti finire in discussione, con effetti imponderabili.
Quale significato ebbe la presenza in scena di Giovanni Spampinato?
Con il breve scoop del 28 febbraio, il giornalista de «L’Ora» e de «L’Unità» non puntò sul Campria solo perché aveva saputo dell’interrogatorio cui era stato sottoposto il giovane la sera del 26. Oggi si conosce l’esito di quel colloquio. Si sa con certezza che il figlio del giudice non era stato ascoltato nelle vesti di persona sospettata. Spampinato aveva raccolto bensì il sospetto da una fonte di prim’ordine, costituita Mario Tumino, fratello del palazzinaro ucciso. E solo forte di tale aggancio decise di incalzare il Campria. L’informatore del cronista di certo non era a conoscenza dei rapporti che aveva intessuto il fratello con certi ambienti, ma, come emerge dalle sue deposizioni, aveva il sentore di qualcosa, che gli venne facile associare con le condotte anomale del Campria, del passato e del presente. Dal canto suo, Spampinato mancava di troppi tasselli per potersi orientare con pienezza. Colse tuttavia quel sentore, elaborò quel sospetto sul giovane, corroborato appunto dalle movenze goffe e incoerenti del medesimo nei giorni successivi al delitto.
Come poté essere avvertito l’impegno di Spampinato dagli uccisori di Tumino?
Di certo il cronista era finito su una pista pericolosa. Come emerge dalla lettera che inviò alla collega de «L’Ora» Angela Fais il 28 febbraio, dalla memoria che il 5 aprile indirizzò alla federazione del PCI di Ragusa e da alcune inchieste sullo squadrismo in Sicilia che uscirono sul quotidiano da fine febbraio a maggio, andava convincendosi che l’uccisione di Tumino fosse maturata nell’ambito di una trama che riuniva trafficanti d’arte ed eversori neofascisti. Ebbene, sulla scorta dei dati che si possiedono, tale ipotesi appare caduca. Pur non potendo recare alcuna cognizione dei fatti, il giornalista era tuttavia nel perimetro della verità, partecipando, si direbbe per induzione, a quella di cui era custode Campria. Al di là dei propri convincimenti, più di ogni altro, quindi, era nelle condizioni di svelare il segreto dell’uccisione del 25 febbraio. E tanto più lo divenne quando ebbe modo di interloquire di persona con il figlio del magistrato. In definitiva, più preoccupante della parola di Spampinato, dovette risultare il gesto. Prova ne è che il giornalista venne ucciso dopo che aveva smesso da mesi di scrivere sul caso.
Le inchieste di Spampinato sul caso Tumino quale impatto recavano sugli ambienti che avevano determinato il delitto del 25 febbraio?
Di certo, gli articoli usciti su «L’Ora» recavano uno rilievo a prescindere. Il cronista andava necessariamente a tentoni, sollecitato tuttavia da un sentire divergente che gli consentiva di slargare il circolo delle supposizioni. Nei suoi scritti, se non poteva offrire quindi risposte, poneva numerose domande, che, seppure in modo necessariamente largo, evocavano poteri occulti e criminali. Il primo sulla vicenda usciva con il seguente titolo: Delitto Tumino. Una pista è la mafia. E non si trattava evidentemente di una pista seguita dagli inquirenti, ma di una intuizione, per certi versi di un suggerimento investigativo. Il 28 aprile Spampinato dava conto delle tattiche di depistaggio in corso, che evocavano menti molto sofisticate, mentre scartava l’ipotesi del delitto per rapina. Nell’articolo del 7 luglio, quando l’inchiesta giudiziaria non faceva alcun passo in direzione del delitto organizzato, si chiedeva: «Come mai il corpo appariva rivestito e sistemato con cura? Poteva un uomo solo spostare il cadavere dell'ingegnere, che pesava più di cento chili?». Nelle inchieste che il giornalista andava conducendo in quei mesi, sulle trame neofasciste, erano inoltre costanti i riferimenti alle attività di contrabbando nel sud-est.

Ecco, le inchieste di Spampinato sull’eversione nera in Sicilia, che rilievo avevano?

Tali approfondimenti dovevano destare non poca preoccupazione, soprattutto negli ambiti di mafia. Con le sue denunce il giornalista finiva infatti con l’orientare l’attenzione pubblica, non soltanto siciliana, su un’area che doveva rimanere in ombra, con possibili pregiudizi per gli affari che vi si conducevano.
Esistevano in quegli anni degli accordi, tattici o strategici, fra eversori neri e mafia?
Gli obiettivi e le metodologie operative erano del tutto differenti. Il neofascismo faceva in quegli anni un gran rumore. E anche nell’est siciliano le cose andavano così. A Catania, divenuta in quegli anni la maggiore roccaforte italiana della destra con il 30 per cento dei voti al partito di Almirante, si giunse alla distruzione della federazione provinciale del Pci. A Siracusa fu un succedersi di attentati, soprattutto alle sedi della CGIL. Ragusa conobbe numerosi atti di squadrismo. Le operazioni di sbarco e di transito dei tabacchi lavorati, gestite dalla mafia, necessitavano invece del massimo di sordina. Si può quindi escludere che potessero esistere accordi strategici, o solo tattici, fra i boss del contrabbando e i neofascisti, tanto più nel «quieto» sud-est.
Dinanzi agli azzardi del giornalista come si poterono porre gli uccisori di Tumino?
Evidentemente, l'uccisione in stile mafioso del giornalista che indagava sulla vicenda avrebbe fatto in Italia un gran rumore, con l'effetto di mettere a repentaglio gli equilibri e i silenzi su cui reggevano il contrabbando e le connessioni del sud-est. Va ricordato d’altronde che appena due anni prima il rapimento del redattore de «L’Ora» Mauro De Mauro aveva destato indignazione in tutto il paese e aveva attratto cronisti da ogni parte del mondo. Si avrebbe potuto avere beninteso buon gioco nel depistare l'attenzione generale e le indagini in direzione del neofascismo su cui indagava il giornalista, ma le cose non sarebbero cambiate di tanto. Il clamore si sarebbe avuto a prescindere. La pista della mafia sarebbe potuta emergere ugualmente, pure avvalorata da talune intuizioni dello stesso Spampinato. Campria, che costituiva il punto più permeabile della vicenda, sarebbe potuto finire poi stretto d'assedio, da segmenti dell'informazione, dalla magistratura, con il rischio fondatissimo di un definitivo crollo. La storia è andata tuttavia diversamente, perché l’uccisione del cronista, compiuta da Campria nella notte del 27 ottobre 1972, è stata registrata come l’epilogo di una storia privata.
Su Segreto di mafia viene tuttavia documentata, sulla scena dell’uccisione, la presenza di un misterioso individuo. È la prova che anche nel caso di Giovanni Spampinato si trattò di un delitto organizzato?
Tale presenza sul luogo e nel momento dell’uccisione, avvenuta appunto in piena notte, costituisce evidentemente un dato importante, che pone numerosi interrogativi, cui non è possibile, al momento, dare risposte definitive. I dati che sono stati documentati legittimano comunque una lettura del delitto ben distante da quella emersa nei vari gradi del processo.

Gianluca Floridia

Fonte: “L’Isola Possibile”. Rivista supplemento mensile de “Il Manifesto”, 28 gennaio 2009.




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"U stissu sangu". Storie più a sud di Tunisi


"U stissu sangu – storie più a sud di Tunisi” è il film documentario realizzato da Francesco Di Martino e Sebastiano Adernò. Una lucida e drammatica fotografia del fenomeno immigrazione. “U stissu sangu” presenta la vita dei migranti che continuamente sbarcano sulle nostre coste, propone i loro sogni, le loro speranze, le loro tragedie personali, le loro umiliazioni. Un punto di vista, quello dei due giovani autori, che riesce, già dal promo (si può vedere su www.ustissusangu.com), a far percepire il fenomeno immigrazione non come, comunemente rappresentato, un problema di sicurezza ma come un problema di dignità umana.
Si vede una Sicilia diversa da quella delle cartoline , infatti il film “ getta uno sguardo su questa parte della Sicilia, sull’altra stagione, non quella delle spiagge e delle granite, su quella che inizia ad aprile con la prima carretta del mare che viene trovata dalla guardia costiera” dicono gli autori.
Un lavoro oggi più che mai necessario, visto il dilagare di una mentalità fortemente chiusa dal razzismo, dal fastidio verso il diverso. Una mentalità che si scorda il passato, non si ricorda di quando eravamo noi a partire con la valigia di cartone. In fondo abbiamo “u stissu sangu”.
“Perché lo stesso sangue non dovrebbe essere un concetto, ma un modo per superare le diversità. Stesso sangue come stesso diritto alla vita, con tutto ciò che la vita dovrebbe racchiudere. Le stesse opportunità, gli stessi diritti, così tanto difesi sulla carta da dimenticarci il vero motivo per cui sono stati scritti. Perché se ci vantiamo di essere un popolo civile, una parte dell’umanità emancipata, allora dovrebbe toccare a noi colmare le differenze culturali, senza esagerare in inutili stupori di fronte a uomini con religioni, colori e tratti somatici differenti dai nostri”.
Un lavoro quello di Di Martino e Adernò che va apprezzato pure come un forte segnale proveniente da una Sicilia giovane. Franceso Di Martino, è di Noto ed è un fotogiornalista che vanta numerose collaborazioni da Il Manifesto a La Sicilia da Carta a Il Corriere della Sera, oltre all’impegno nel portale degli eventi siciliani Siciliantagonista.org. Sebastiano Adernò nato in Sicilia, trascorre parte della sua vita al nord ma il legame con la sua terra di origine non si è riuscito a spezzare. Si occupa principalmente di poesie. Il film vanta pure la colonna sonora di musicisti siciliani come Davide Di Rosolini, Krikka Reggae e i Trinakant che aprono il documentario.
“U stissu sangu” riesce ad essere forte contro chi con disprezzo definisce “u marucchinu”. “U stissu sangu” è un punto a favore per la dignità umana in una terra dove molto spesso perde.

Giorgio Ruta



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