domenica 31 maggio 2009

E' uscito il nuovo numero de "Il clandestino"


A seguire i punti vendita in cui potete trovarlo. Per qualsiasi informazione e per ricevere copie del mensile contattateci al nostro indirizzo e-mail.
MODICA
Libreria Mondadori, C.so Umberto I
Caffè Letterario Hemingway, C.so Umberto I
Bar Fucsia, S.s. 115
Caffè Consorzio, Via S. Giuliano
Tabacchino la Pineta
Caffè Adamo, Via Marchesa Tedeschi
Caffè Macchiato, Piazza Monumento
Bar I Portici
Edicola Piazza Monumento
Edicola Aurnia, C.so Umberto I
La Bottega Solidale, C.so Umberto I
Camera del Lavoro, Via Nazionale
Edicola Sammito, C.so Principessa Maria del Belgio
Uomo Club, C.so Principessa Maria del Belgio
Barycentro, C.so Umberto I
Istituto magistrale, C.so Umberto I
N’ti Viciè Pub, Piazza Gianforma (Frigintini)
Liceo Scientifico
Mercatissimo, C.so Tenente Nino Barone
Tabacchino Plaza, centro commerciale
Edicola, quartiere Dente
Dolceria Elisir, Via Sacro Cuore
Dolceria Scivoletto, Via Nazionale
Bronze, Piazza Matteotti
Sound check Music, Via Nazionale
Liceo Artistico
Università

POZZALLO
Bottega solidale

VITTORIA
Bottegotto Solidale, via R.Settimo angolo via Cavour
Camera del Lavoro-Cgil, via Bixio 60.

RAGUSA
Libreria Mondadori, Via Roma
Edicola, via Roma
A Putia Siculamente, Via Carducci

NOTO
Edicola Giacchino Corso Vittorio Emanuele 97
Pasticceria Costanzo Via Silvio Spaventa, 7/9



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domenica 24 maggio 2009

La Redazione de Il clandestino esprime solidarietà al consigliere Nino Cerruto


La redazione de Il clandestino esprime piena solidarietà al consigliere di Una nuova prospettiva, Nino Cerruto, per gli attacchi ingiustificabili e prepotenti, che non rientrano nella normale dialettica politica, ricevuti nella seduta del consiglio comunale. Il comportamento del Dott. Drago in primis, e del consigliere provinciale Pitino e dei consiglieri comunali Cavallino e Nigro, dimostrano la bassezza di una certa politica modicana. La verità a volte può far male, ma consigliamo all’On. Drago di essere più sereno e per il bene dei modicani di non mettere più in atto un atteggiamento che ha leso l’elementare libertà di espressione del consigliere di Una nuova prospettiva. La redazione, oltre ad esprime solidarietà, tiene a sostenere con forza quanto detto dal consigliere Cerruto: l’On. Drago ed un certo modo di fare politica non hanno più credibilità.
È ora di aprire gli occhi di fronte alla mala politica.




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giovedì 21 maggio 2009

Il Candestino e Borderline Sicilia presentano, "Come un uomo sulla terra"


Il Clandestino e Borderline Sicilia
presentano

Modica – Palazzo della Cultura – 1 giugno 2009 ore 19:00
COME UN UOMO SULLA TERRA
un film di Andrea Segre, Riccardo Biadene e Dagmawi Yimer

Dal 2003 l’Italia chiede alla Libia di fermare i migranti africani diretti a Lampedusa. Ma cosa fa realmente la polizia libica? Cosa subiscono migliaia di uomini e donne? E perchè tutti fingono di non saperlo?

Dopo 200 proiezioni in tutta Italia, e oltre 6.500 firme raccolte per una inchiesta parlamentare, arriva finalmente anche a Modica il film documentario che svela i retroscena della cooperazione italo libica contro l’immigrazione. Un tema estremamente attuale visti i respingimenti in mare al largo di Lampedusa. Che fine fanno emigranti e rifugiati una volta rispediti nelle carceri libiche? Ne discuteremo dopo la proiezione, con i giornalisti Gabriele Del Grande (Fortress Europe) e Roman Herzog (Radio pubblica tedesca). Appuntamento al primo giugno 2009, ore 19:00 al Palazzo della Cultura, in corso Umberto I, a Modica.

Il film è stato girato da Andrea Segre, Riccardo Biadene e Dagmawi Yimer. Dagmawi oltre ad essere regista è anche protagonista del film. Studente di giurisprudenza ad Addis Abeba, in Etiopia, nel 2005 decise di emigrare a causa della forte repressione politica. Prima di sbarcare a Lampedusa ha attraversato il deserto e il mare, subendo le violenze della polizia libica. A Roma, grazie alla scuola di italiano Asinitas, ha imparato a usare la telecamera. E ha deciso di raccogliere le memorie dei suoi compagni di viaggio, per rompere l’incomprensibile silenzio su quanto sta accadendo in Libia, nei campi di detenzione finanziati dall’Italia.

Il film è una produzione Asinitas e Zalab, con il patrocinio di Amnesty International. Uscito nel settembre 2008, è stato premiato al Salina Doc Festival 2008, al Premio Don Luigi di Liegro 2008, al Festival del Cinema Africano di Verona, al Premio De Seta Per il Cinema Italiano e il Premio Provincia Solidale della Provincia di Roma. È stato inoltre selezionato nelle rassegne Mostra Internazionale del Cinema di Sao Paolo, Festival Cinemafrica di Stoccolma, Festival Batik di Perugia, Stati Generali del Documentario di Palermo, Visioni Italiane a Bologna, London International Documentary Festival, Fespaco a Ouagadougou (Burkina Faso), Festival Internazionale del Doc d'Abruzzo, Premio David di Donatello, Premio Casa Rossa - Bellaria Film Festival

Contatti
Il Clandestino: email ilclandestino1@gmail.com – telefono 3334902756
Border Line Sicilia: paola_ottaviano@yahoo.it - 3396586598

Maggiori informazioni
http://comeunuomosullaterra.blogspot.com
http://fortresseurope.blogspot.com




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Rammarico Sikla Nuoto, promozione mancata di un soffio


Inutile vittoria nell’ultima giornata di campionato per la Very Sicilian People Sikla Nuoto che, nonostante la sconfitta inflitta alla Salernitana con il punteggio di 14-9 tra le acque amiche della piscina comunale di Modica, si deve accontentare della seconda piazza finale a due sole lunghezze dalla capolista. In virtù della contemporanea vittoria della Blu Team Catania nel derby etneo contro la Brizz Nuoto Acireale con il punteggio di 10-5, le ragazze arancio-blù vedono svanire il sogno promozione della promozione in serie A2 dovendo così rinunciare all’obiettivo stagionale. Un po’ di rammarico tra i dirigenti e le giocatrici della società iblea è emerso dopo la decisione presa a due giornate dal termine della stagione regolamentare dalla Federazione che invece di far disputare i play-off alle prime due classificate di ogni girone ha deciso di promuovere direttamente le prime classificate che accedono direttamente alla serie superiore, senza la possibilità per le altre squadre di disputare i play-off e poter ancora inseguire il sogno promozione,. Le ragazze arancio-blù, allenate dal coach Ignazio Fiorito, hanno ben poco da rimproverarsi, dopo una stagione indubbiamente positiva sotto ogni punto di vista, che ha visto la società iblea mancare il traguardo ambito a causa del pareggio conseguito in trasferta contro il Cosenza, ma che ha visto anche la continua e costante crescita delle atlete e di tutta la società che si configura all’interno di un movimento che a livello locale e non solo fa della Sikla Nuoto una delle realtà più belle e convincenti. Si chiude una stagione per la VSP Sikla Nuoto che molti speravano si concludesse diversamente, ma né le giocatrici, né la società possono rammaricarsi per quanto fatto quest’anno; ora bisogna rimboccarsi le maniche e cominciare a preparare la prossima stagione che vedrà ancora una volta le delfine di coach Fiorito sicure protagoniste di un torneo che in molti sperano abbia un epilogo differente da quello di quest’anno.

Giovanni Lonico

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mercoledì 20 maggio 2009

Ricircoliamo


Ricircoliamo, mercatino dello scambio e del riutilizzo organizzato dall’associazione “Cittàvivagaia”, si terrà domenica 31 maggio 2009 dalle 16.30 alle 20.30 presso i giardini di S. Giorgio a Modica (RG).



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venerdì 15 maggio 2009

Sbatti i mostri in prima pagina. Arriveranno le scuse ai fratelli Cascino?



Modica è rimasta scandalizzata, all’inizio di aprile, dalla notizia dell’arresto dei fratelli Cascino. Gaia, 28 anni e Ruggero, 24 anni, sono statti arrestati dalle forze dell’ordine per produzione e detenzione ai fini dello spaccio di sostanze stupefacenti. Gli organi d’informazione danno la notizia con gran rilevo sbattendo in bella vista le foto dei due giovani modicani. Due ragazzi improvvisamente umiliati e giudicati dai media come spacciatori.
Un giudizio che ha dell’inverosimile visto che i guai giudiziari dei Cascino sono dovuti al ritrovamento nella loro abitazione di due piante di Canabis Indiana, senza il fiore che ha il principio attivo, e vari oggetti per il consumo della droga. È chiaro a tutti l’uso personale delle piantine ritrovate. Come è sconcertante vedere i due mostrati come delinquenti senza la presenza di una minima prova sulla vendita di sostanze illecite da parte dei due giovani.
“Mi piacerebbe – dice il loro avvocato, Vincenzo Iozzia, - conoscere i nomi di questi fantomatici “clienti” dei miei assistiti, che avrebbero fatto scaturire un viavai dalla casa di Corso Regina Elena perchè da questo la polizia avrebbe dovuto effettuare la previste segnalazioni all'Ufficio Provinciale del Governo quali assuntori di droga”.
I Cascino, come era chiaro a qualsiasi persona dotata di buon senso, erano semplici consumatori, cosi come ha infatti sentenziato il Tribunale di Modica assolvendo entrambi con la formula “il fatto non sussiste”.
Sarebbe il caso che certi giornalisti, vogliosi di godere sbattendo il mostro in prima pagina, diano delle scuse ai fratelli Cascino e ai loro lettori.

Giorgio Ruta


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Peppe Drago (UDC) condannato per peculato


Da Radio R.T.M.:

La condanna a tre anni è confermata, la sentenza diventa definitiva e per l’ex presidente della Regione, oggi parlamentare nazionale dell’Udc, Peppe Drago, arriva la decadenza dall’incarico che ricopre in atto.

Oggi la Cassazione ha ritenuto fondate le responsbailità di
Drago ma anche di Giuseppe Provenzano, anche lui ex presidente della Regione(condannato a tre anni), accusati di peculato.

La pena è condonata ma scattano, comunque, le pene accessorie tra cui l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Entrambi gli imputati si sarebbero appropriati, senza stendere alcun rendiconto, dei fondi riservati alla Presidenza della Regione.

L’accusa ha dimostrato che nessuna spesa può essere affrontata con denaro pubblico se non c’è un rendiconto.

La questione venne fuori tra la fine del 1998 e l’inizio del 1999 e fu sollevata dal presidente diessino Angelo Capodicasa.

Drago è stato rieletto alla Camera nell’aprile del 2008 nel Collegio della Sicilia Orientale.

La sua decandenza apre un gioco a incastro nell’Udc siciliana per ricoprire il posto lasciato vuoto.

Il seggio toccherebbe a Pippo Gianni, che però a sua volta è assessore regionale regionale ed è candidato alle Europee.


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giovedì 14 maggio 2009

Lettera del consigliere Nino Cerruto per la nomina degli scrutatori



Di seguito la lettera che il consigliere di Una Nuova Prospettiva ha inviato ai suoi colleghi consiglieri.

Egregi Colleghi,
in vista delle imminenti tornate elettorali (relative alle elezioni europee, alle consultazioni referendarie) sono a rappresentarVi, in qualità di componente della Commissione Elettorale Comunale, l’opportunità che il Presidente del Consiglio convochi una riunione della predetta Commissione finalizzata a stabilire i criteri di scelta degli scrutatori. Purtroppo, come noto, con la legge 21 dicembre 2005, n.270, “Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica” è stato stravolto il procedimento di nomina degli scrutatori sino ad allora vigente,
introducendo un non meglio chiarito “meccanismo” di “nomina” e “scelta” diretta effettuata dalla Commissione Elettorale Comunale. Ma, mentre per le elezioni locali (comunali, provinciali, regionali) la normativa specifica impone l’obbligo del sorteggio, nessun pronunciamento vi è in merito alla procedura da utilizzare per le altre elezioni. Pertanto nessuno ci vieta di ricorrere, avendo ricevuto in questo anche il conforto di legali e funzionari, a strumenti trasparenti, quale appunto il sorteggio.
Già l’anno scorso ho evidenziato come, a mio sommesso parere, il nuovo quadro normativo costituisca un passo indietro rispetto ai più elementari criteri di trasparenza e pari accessibilità al “posto di scrutatore” a cui tanti, specie giovani, aspirano sin dal momento di presentazione della domanda di iscrizione all’Albo comunale di riferimento, composto da ben 3.913 candidati.
Sin d’ora rinnovo la mia proposta affinché la scelta degli scrutatori venga effettuata con sorteggio. Tale semplice accorgimento permetterebbe di garantire la massima trasparenza e di eliminare ogni forma di discrezionalità nell’individuazione degli scrutatori e si configura come atto di giustizia nei confronti di chi rimarrà escluso, in maniera del tutto casuale, dalla nomina.
Cordiali saluti.

Nino Cerruto
Consigliere Comunale
(Componente Commissione Elettorale Comunale)
Una nuova prospettiva


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A Concetta Vindigni va il premio, “prima abusiva delle elezioni europee”


Comincia l’ennesima campagna elettorale, stavolta si vota per il rinnovo del Parlamento Europeo. Una nuova tornata elettorale, le solite facce, o quasi, che si mettono in gioco per accedere al parlamento di Strasburgo. Con questo appuntamento elettorale è “d’obbligo” l’uscita dei manifesti per propagandare il proprio volto e il proprio nome e partito, chiaramente tutto ciò deve essere fatto in maniera abusiva. Ed ecco che giorno 13 maggio possiamo assegnare a Concetta Vindigni, Udc, il premio “prima abusiva delle elezioni europee”, un merito che molti altri avrebbero voluto avere, ma che per questa volta grazie alla scaltrezza e alla velocità è andato alla Vindigni. Ma come, proprio lei che milita in un partito stracolmo di valori, in cui si parla di famiglia e del suo rispetto, ma allo stesso tempo molti del partito sono divorziati, risposati, amanti e via dicendo. Proprio lei che è dell’Udc, partito che sventola il rispetto delle regole, delle leggi; come può accadere tutto ciò? chissà, sarà l’aria della campagna elettorale che va in testa e che scombina i comportamenti di facciata, utili solamente in pubblico. E’ chiaro che non è la prima e che non sarà l’ultima, e proprio per questo è il momento di dire un “no” convinto a queste forme di illegalità che dimostrano il basso livello della classe politica. Attenzione candidati alle Europee, non vi permettete di fare affiggere i vostri manifesti negli spazi a voi assegnati, ci sono tante belle case del centro storico che vi aspettano.

Francesco Ruta


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martedì 12 maggio 2009

Volley: termina la stagione delle società modicane


Termina con una sconfitta per la Pvt Pam Modica e con una vittoria per l’Us Volley la stagione pallavolistica modicana. La squadra allenata da coach Bertocco nell’ultimo incontro stagionale si è dovuta arrendere all’Yinglitaly Rota Mercato San Severino, squadra di S. Severino, che ha chiuso la propria stagione al quarto posto ed ha avuto la meglio sulle atlete modicane con il punteggio di 3-0 (25-14; 25-14; 25-20 i parziali). Dal canto suo la Pvt, che ha chiuso la propria stagione al decimo posto con tredici punti in ventidue partite, raggiungendo con qualche turno di anticipo l’obiettivo salvezza grazie soprattutto alle quattro vittorie ottenute sulle dirette avversarie, non fa drammi per questa sconfitta che non cambia il giudizio su una stagione comunque soddisfacente, che ha visto la società del presidente Garofalo puntare su un organico giovanissimo, il più giovane del girone, riuscendo nonostante ciò a raggiungere gli obiettivi prefissati ad inizio stagione. A dimostrazione della grande qualità e importanza del settore giovanile della società modicana anche il positivo terzo posto nelle finali regionali under 18 e il Torneo di Internazionale in programma al PalaRizza dal 19 al 22 Maggio, a cui parteciperanno il college Statunitense di Notre Dame e la nazionale di Malta, oltre ad alcune compagini locali, che segnerà la fine di una stagione positiva per la Pvt. L’Us Volley conclude invece il suo campionato in serie C con una netta vittoria per 3-0 (25-9; 25-9; 25-17) sul fanalino di coda Fitness Club Solarino, ottenendo così il quinto posto finale. Una stagione positiva anche per la squadra di coach Profetto che ha puntato molto sui giovani, concedendo ampio spazio in prima squadra agli stessi atleti che tra poche settimane parteciperanno ai tornei regionali e alle selezioni under 18. Si tratta di risultati indubbiamente positivi per due società che hanno dato e continuano a dare ampio spazio ai giovani talenti locali, contribuendo in questo modo a esaltare le capacità sportive di cui dispone la città di Modica e riuscendo a raggiungere i propri obiettivi senza intaccare i bilanci societari, nonostante la crisi economica abbia colpito anche il mondo sportivo e quello pallavolistico.

Giovanni Lonico


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Una Cuba inedita tra fantasmi e misteri. Si presenta alla Libreria Mondadori “Le cere di Baracoa”, l’ultimo romanzo di Davide Barilli


Sabato 16 maggio alle ore 18.30, nei locali della Libreria Mondadori (Corso Umberto I, n. 8), si svolgerà la presentazione del libro Le cere di Baracoa di Davide Barilli, edito da Mursia.
Alla presentazione interverranno l’autore e il critico letterario Giuseppe Traina, docente di Letteratura italiana alla Facoltà di Lingue dell’Università di Catania.
Barilli, scrittore e giornalista parmigiano, ha viaggiato a lungo tra il Centro America e i Caraibi. Redattore di cronaca giudiziaria e delle pagine culturali della «Gazzetta di Parma», ha vinto la prima edizione del Premio giornalistico «Egisto Corradi».
Le cere di Baracoa è il suo terzo romanzo. Si tratta di un “giallo” sui generis ambientato tra Cuba e la Bassa Padana. Nel novembre 1944, durante una rappresaglia scoppia un incendio in una cereria della Bassa Padana. Muoiono due fratelli. Per oltre mezzo secolo Celso, il fratello maggiore emigrato in Centro America, cova la vendetta che, al suo ritorno, sfocia in un omicidio. Risucchiato dalle leggende di un uomo dal sangue zingaro e incuriosito da una vecchia cartolina in bianco e nero, un misterioso narratore ripercorre la vita dell'assassino per inseguire un delitto privo di enigmi investigativi, ma ricco di misteri. Dai nebbiosi argini del Po comincia così un avvincente viaggio in una Cuba inedita, lontana dai luoghi comuni del turismo di massa. Durante il suo peregrinare il protagonista incontra le ombre di personaggi realmente esistiti: dal campione di scacchi cubano Capablanca a un inedito e immaginario Italo Calvino bambino, da Errol Flynn a Magdalena Rovieskuya, la cantante lirica russa che scappò dalla rivoluzione dei bolscevichi per gestire un hotel nell'antica città di Baracoa; ma anche Gino Donè Paro, l'ex partigiano veneto che sbarcò sull'isola con Fidel Castro per liberarla dalla dittatura di Batista. E poi il bicicletero Barroso, il tapizero Orlando e tanti altri anomali personaggi che affollano le assolate strade cubane.



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lunedì 11 maggio 2009

Mafia: Cosa Nostra sbarca a Ragusa, ecco la storia dei boss che vivono sul territorio ibleo


di Giuseppe Bascietto

Nella lontana, lontanissima Ragusa, tra gli agrumeti di Acate e la zona balneare di Pozzallo, poco distante da Vittoria, dove il 2 gennaio 1999 cinque ragazzi sono stati uccisi, in poco più di 10 minuti, dalla fine degli anni settanta si sta registrando una progressiva e costante infiltrazione di uomini di Cosa Nostra.

Qui la mafia non esiste, si diceva, c'è solamente criminalità comune, che si è aggregata attorno alla Stidda di Carmelo Dominante e dei fratelli Bruno, Claudio e Silvio Carbonaro. Invece ad aprire la serie sono Natale e Vincenzo Rimi, mandati in soggiorno obbligato a Ragusa. Ma chi erano i Rimi? I padroni di Alcamo, ovvero il "clan degli americani", dei rapporti con Cosa nostra, degli stretti legami col mondo politico. Una dinastia che ha rappresentato la sintesi della metamorfosi mafiosa degli ultimi sessant'anni, con un capoclan, il vecchio Vincenzo Rimi, che riporta alla memoria i bei nomi del Gotha mafioso del feudo: da Vizzini, ai Di Carlo, dai Di Cristina, ai Mancino, agli Zizzo, a Liggio prima maniera.
Quando don Vincenzo venne condannato all' ergastolo le redini della famiglia furono prese da Filippo, il duro del clan, coinvolto nell' omicidio di Stefano e Salvatore Leale, padre e figlio, uccisi a Palermo nella metà degli anni Sessanta. Ad accusare Filippo Rimi fu Serafina Battaglia, moglie di Stefano, con una testimonianza coraggiosa e spregiudicata. La donna ammise che il marito era coinvolto nell' attività mafiosa e tirò in ballo le responsabilità del capofamiglia di Alcamo coinvolgendo altre novantatre persone. Per il boss l' ergastolo fu inevitabile, anche se, come si legge nella relazione antimafia, "arrivarono pressioni consistenti di uomini politici e funzionari per rendere meno pesante la permanenza di Filippo Rimi dietro le sbarre". In carcere il boss non si trattenne a lungo. Il tempo di ottenere l' assoluzione per insufficienza di prove e ritornare ai traffici illeciti assieme alle cosche emergenti del trapanese. Dopo la scarcerazione nessuno aveva più saputo nulla di Filippo Rimi e la sua eredità era stata raccolta dal figlio Leonardo, che aveva scalato velocemente la piramide del crimine collezionando diverse denunce, tra cui una per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. All'inizio degli anni settanta la famiglia Rimi torna a far parlare di se. Natale Rimi, il ragioniere, fratello di Filippo, fu trasferito dal Comune di Alcamo alla Regione Lazio. Un passaggio giudicato dalla commissione antimafia "carico di sospetti" e per il quale Natale Rimi fu arrestato e trasferito presso il carcere di Ragusa al soggiorno obbligato nel 1972 ed infine condannato nel 1977, assieme all' ex presidente democristiano della Regione Lazio Girolamo Mechelli e ad Italo Jalongo, consulente fiscale del boss Frank Coppola. Sono loro a prendere i primi contatti con la malavita locale, per tessere quella rete di complicità e di connivenze che permetteranno ai boss di Cosa Nostra di insediarsi nel territorio ibleo. La provincia di Ragusa come area di insediamenti mafiosi che nasce con i soggiorni obbligati e con i trasferimenti di grossi criminali nel penitenziario della zona.Sono gli anni in cui nel ragusano prende corpo l'ipotesi della costruzione della base missilistica. La modernità dei missili suscita appetiti e favorisce le sintonie tra il legale e l'illegale. Si arriva in questo modo allo snodo degli anni ottanta, quando la provincia entra con forza nell'intrico di nuove logiche. Spuntano dal nulla imprenditori e "petrolieri". Cosi, fra il '79 e l'80, si fanno avanti i boss palermitani e trapanesi, che iniziano ad acquistare ettaro per ettaro i terreni attorno ad Acate, Santa Croce, Vittoria e Comiso. La provincia iblea passa cosi il guado. Qui si radicano i Teresi, i Rollo, i Greco di Ciaculli, gli Amoroso, i Salvo di Salemi, gli Aiello di Bagheria. Sono calmi. Hanno deposto le armi e vivono da imprenditori, non entrano in conflitto con gli stiddari di Carmelo Dominante, fanno agricoltura, trasformano terreni, hanno creato aziende agricole e vitivinicole, si tengono a debita distanza dai Madonia di Vallelunga e contano su referenti a Vittoria, Modica e Ragusa nell'ambito della politica, dei consorzi, dell'ispettorato agrario, mirando ai contributi e ai finanziamenti dell'Unione Europea.

Inoltre controllano in diversi comuni la nettezza urbana, i servizi funebri e condizionano gli appalti pubblici. Insomma stanno lontani dai riflettori, ma controllano decine di attività economiche. E' in questo quadrilatero, quindi, che negli anni settanta questi personaggi compiono una delle più colossali operazioni di riciclaggio e investimento di denaro sporco. Non è un caso che nel 1982, in perfetta sintonia con quello che stava accadendo verso la fine degli anni settanta nel sud-est dell'isola, si insedia nella provincia iblea, l'imprenditore bresciano Oliviero Tognoli, incaricato dalla mafia di riciclare i proventi del colossale traffico di droga fra Stati Uniti, medio Oriente e Europa. Tognoli, prima di darsi alla latitanza, si insedia a Modica e Pozzallo, dove acquista aziende in fallimento. Alla fine degli anni ottanta guadagna terreno nella zona di Vittoria la ditta Bruccoleri di Favara(AG). Vince l'appalto per l'estrazione della sabbia dal porto di Scoglitti, un affare da un miliardo l'anno. E tra le famiglie di Cosa Nostra che vivono stabilmente in provincia di Ragusa, troviamo i fratelli Gaspare e Salvatore Gambino, originari di Villabate e parenti di Carlo Gambino, capo indiscusso di Cosa Nostra americana fino al giorno della sua morte nel 1976. La famiglia dei Gambino è probabilmente la più famosa famiglia mafiosa americana di origine siciliana. Infatti il boss Carlo gambino, uomo capace di tenere le fila dell'organizzazione agendo nell'ombra e senza esporsi, con un carattere all'apparenza mite e pacato, ha diretto per quasi un ventennio l'attività criminale della famiglia (da metà degli anni cinquanta fino alla sua morte per cause naturali), sfruttando la sua rinomata 'invisibilità' e intelligenza. Legato ai valori tradizionali mafiosi, aveva come arma principale l'astuzia più che la violenza. Non fu mai arrestato durante la sua 'reggenza' e sembra che la sua figura sia il Don che ha maggiormente ispirato il personaggio di Vito Corleone nel film il padrino. All'apice del potere il clan dei Gambino aveva ai suoi ordini 500 uomini d'onore con 2000 affiliati. Quella dei Gambino si dimostrerà una famiglia molto dedicata alla mafia, e Thomas Gambino figlio di Carlo sarà uno dei successori, insieme all'altro figlio John, mentre altri parenti come John e Joseph e Gambino si dedicheranno al traffico di droga.
Qualcuno potrà dire che sono storie vecchie. Ma non è cosi, perchè personaggi e sistemi sono sempre gli stessi. Perché i trentenni di allora sono i sessantenni di oggi, sempre in grado di gestire enormi quantità di affari. E poi se qualcuno di questi personaggi muore ci sono sempre i figli a continuare la tradizione. A conferma di tutto questo , basti ricordare che Luciano Liggio, detto la primula di Corleone, arrestato a Milano nel 1974, durante il periodo della latitanza, aveva commesso al nord alcuni sequestri di persona, con gli stessi personaggi con i quali trent'anni prima, aveva rapito e ammazzato il sindacalista di Corleone Placido Rizzotto. Se prima, quindi, afferma Carlo Ruta, autore di diversi saggi sulla mafia negli iblei, si muovevano famiglie o parti di esse, oggi si spostano con più facilità capitali, che trovano supporti patrimoniali, tecnici e referenti che garantiscono impunità e tutela. Se negli anni settanta venivano create aziende agricole, negli anni ottanta si preferivano le segherie, la produzione di concimi, i commerci di plastica e di macchine utensili, oggi risulta più conveniente investire in ristoranti, mega-discoteche, alberghi, villaggi turistici, ipermercati e pompe di benzina. Questa è la nuova frontiera del crimine organizzato, che ha trasformato la provincia di Ragusa in una nuova Svizzera.

Ma il paesaggio tuttavia è cambiato e cambia ancora. Cosi, può capitare, che all'inizio degli anni novanta, Cataldo Farinella, imprenditore di rango, durante la latitanza, ottiene appalti miliardari dall'azienda di sviluppo industriale di Ragusa, per lavori nel porto di Pozzallo. Anche Ercolano, cognato di Nitto Santapaola, capo della mafia catanese, ottiene appalti dall'azienda asfalti siciliana che ha sede a Ragusa. Quando il secolo sta per volgere alla fine, nel panorama ibleo, fa capolino Nicola Burriesci. Nel mirino dei giudici antimafia dal 1997, perché considerato l’uomo che per conto di Bernardo Provenzano gestiva i rifiuti in Sicilia, Burriesci viene arrestato nel luglio del 1998, nell’ambito dell’operazione Trush(spazzatura); rilasciato quasi subito, appena torna libero riprende i contatti con la politica. E subito dopo da Palermo viene mandato a Ragusa, dove viene nominato dall’On. Giovanni Mauro di Forza Italia, che in quel periodo ricopriva la carica di Presidente della Provincia, consulente per la gestione dei rifiuti. Ma l’On Mauro è anche il referente del palermitano e sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio con delega al CIPE Gianfranco Miccichè. Complicità? Sinergie? Chissà. L’incarico, comunque, è destinato a durare poco. Agli inizi del 2000 Burriesci viene trovato morto. Il cuore non ha retto si legge nel referto medico. E la procura della repubblica archivia il caso. Sinergie? Non è una caso che, sempre in questa porzione di territorio abbiano sequestrato beni per oltre 2 milioni di euro a Simone Castello, che dagli atti giudiziari risulta essere prestanome di Bernardo Provenzano e una delle poche persone, si diceva prima dell'arresto avvenuto l'11 aprile del 2006 ad averlo visto in faccia. Ancora oggi Simone Castello vive tra Vittoria e Acate.

Un'altra vicenda dai contorni inquietanti merita poi una chiosa. Quella di Rosario Purpura. Racconta Bruno Carbonaro, capo della Stidda vittoriese negli anni ottanta, di fronte ai magistrati della DDA di Catania: "Rosario Purpura è il referente dei corleonesi di Totò Riina per la zona di Vittoria". Ma Purpura nel corso degli anni lavora tranquillamente. Ottiene appalti dalla pubblica amministrazione, intesse rapporti con imprenditori e liberi professionisti locali e costruisce enormi complessi edilizi, dove ormai da qualche anno alcuni enti pubblici(Azienda Sanitaria Locale, Poste e Telecomunicazioni e Ministero delle Finanze), nonostante le affermazioni dei collaboratori di giustizia, hanno spostato i loro uffici, con buona pace della lotta alla mafia. Insomma un imprenditore di peso in ottimi rapporti con tutti. Complicità? Connivenze o semplice inerzia? Chissà. E qui la storia si fa veramente più complicata: "davvero la Stidda di Carmelo Dominante e Bruno Carbonaro ha tenuto lontana Cosa Nostra dal territorio ibleo?

In realtà, sin dall'inizio degli anni novanta, da quando il potere è passato nelle mani di Carmelo Dominante e della sua famiglia, è avvenuta una spartizione della zona. Cosa Nostra si occupa dei grandi appalti, dei legami con il mondo della politica, della finanza e dell'imprenditoria più spregiudicata, e la Stidda, non riuscendo ad andare oltre la realtà locale, non riuscendo ad inserirsi nel grande traffico internazionale della droga e delle armi, si occupa delle attività classiche: "traffico di droga finalizzato al fabbisogno locale, estorsioni, gestione di bische clandestine, controllo del territorio, gestione delle macchinette video poker, i cui proventi, che si aggirano sui 5 mila euro a settimana per macchinetta, servono per riciclare denaro e mantenere le famiglie dei detenuti". Cosi si è riusciti in parte a arginare il fenomeno dei collaboratori di giustizia. In un certo senso la Stidda in questa provincia è stata funzionale a Cosa Nostra, perché tutte le energie delle forze dell'ordine e della magistratura sono state rivolte alla sconfitta dei clan stiddari che hanno messo a ferro e fuoco la provincia iblea, lasciando all'organizzazione principale libertà di agire sul territorio. Complici il silenzio e l'indifferenza quindi, la mafia ha potuto agire indisturbata, grazie a una densa cortina di omertà che da sempre la protegge. Non è un caso che nessuno, in quella che è stata la provincia che ha dato i natali a Quasimodo e Bufalino, parli della presenza di uomini di Provenzano e Riina. Una seconda considerazione, infine, riguarda la collocazione geografica della provincia. Infatti tutta la costa iblea, che da Pozzallo si estende fino a Marina di Acate, passando per Marina di Ragusa e Scoglitti, non è sottoposta a nessun tipo di controllo. Lungo queste coste, secondo una nota informativa del comando generale dell'arma dei carabinieri(1993), è probabile che le organizzazioni mafiose, tramite mezzi di imbarcazione provenienti dall'isola di Malta, facciano sbarcare armi e droga in grande quantità da destinare alle cosche criminali dell'isola. Quindi un pezzo di territorio, diventato zona franca, dove è possibile, grazie ad un rigido controllo della zona da parte delle bande criminali, effettuare traffici illeciti. Per questi motivi il territorio di Ragusa sta diventando terreno di scontro tra le cosche di Palermo, Catania e Caltanissetta. Comunque resta il fatto che in una terra di frontiera come la provincia di Ragusa, si continua a far finta di niente.

Eppure i numeri parlano chiaro: " oltre venti operazioni di polizia e carabinieri negli ultimi dieci anni; 1600 persone inquisite o arrestate per mafia su una popolazione di appena 280.000 abitanti, che, tradotto in cifre, significa un carcerato o un inquisito ogni duecento-duecentoventi abitanti; in Italia c'è un carcerato ogni 1200 abitanti; oltre 150 morti ammazzati in tutto il territorio ibleo; un comune, quello di Scicli, sciolto per infiltrazioni mafiose nel 1993; politici e amministratori locali arrestati con accuse che vanno dalla corruzione all'associazione a delinquere; capi clan che fondano partiti e partecipano attivamente alla vita politica e amministrativa; beni confiscati per oltre 20 milioni di euro (appartamenti, ville, automobili, camion, appezzamenti di terreni, aziende agricole, agenzie di autotrasporti e conti correnti bancari); e cosa si è fatto? Nulla. Esaminando queste cifre da sole c'è quanto basta per far diventare Ragusa un secondo "caso Messina". Quindi, esiste una connessione tra mafia, politica e economia nel ragusano, dice Carlo Ruta, ma non esistono gli storici che dovrebbero indagarlo, i cronisti che dovrebbero registrarlo e gli studiosi che dovrebbero esaminarlo. Cosi, in questo lembo estremo della Sicilia sud orientale, in questi orti baciati da Dio e calpestati dall'uomo, fra gli impeti di Vittoria e la quiete di Ragusa, si dissolve e muore il mito della provincia tranquilla.

Fonte: www.accadeinitalia.it


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sabato 9 maggio 2009

Il 9 Maggio 1978 veniva ucciso Peppino Impastato!



Era il 9 maggio 1978 quando in maniera brutale e pazzesca veniva ucciso Peppino Impastato. Il giovane giornalista e attivista indiscusso della lotta alla mafia venne picchiato a sangue e riempito di tritolo per poi farlo saltare.
Nella sua bara non ci fu nulla, come diceva la madre fu un funerale farsa, la bara senza corpo, ma piena di significato, di valore e di un coraggio capace di destare tanto allarme soprattutto in Sicilia, nonostante quello stesso giorno moriva per mano delle Brigate Rosse Aldo Moro. La mafia di Cinisi eliminò una figura importante, un ragazzo semplice e molte volte scherzoso; un ragazzo che attraverso il collettivo creato in paese con i suoi compagni, attraverso i giornali e la famosa Radio Out, metteva sotto e sopra i piani politico criminali dei mafiosi collusi. Il suo ricordo è ancora vivo, le sue azioni, i suoi gesti; il suo ricordo cammina grazie ai tanti compagni di una volta che lo raccontano, che testimoniano la sua lotta. Il suo ricordo è reso vivo dal fratello Giovanni, che quotidianamente gira nelle scuole, nelle assemblee facendo lezioni di legalità. Non abbassare mai la testa, cercare la giustizia, andare contro i potenti che con il loro potere ricattano e distruggono, questi i valori di Peppino e della gente che lotta, questi i valori che renderanno libera la gente umiliata dai politici e dai corrotti.

Francesco Ruta



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mercoledì 6 maggio 2009

Viaggio tra i più irriverenti blog ragusani


Del fenomeno dei blog si è ampiamente dibattuto; si è parlato dei loro pro e dei loro contro. Ed è attualissimo il tema della censura che rischiano questi diari telematici: il caso di Carlo Ruta è emblematico (il suo blog è www.leinchieste.com). Ma i blogger sembrano non intimorirsi: nascono come piccoli funghi nel vastissimo mondo di internet.
È vero, forse l’informazione su internet può essere rappresentata come una valanga di notizie difficilmente controllabili, ma è innegabile un vertiginoso aumento dei destinatari di queste notizie.
Anche la Provincia di Ragusa è stata travolta dal fenomeno. Sono numerosi e variegati i blog presenti nel ragusano.


Uno dei più visitati e dinamici è senza dubbio quello del movimento politico modicano Una nuova prospettiva (www.unanuovaprospettiva.it). In questo sito, oltre a seguire le battaglie politiche del movimento, sono presenti numerose inchieste locali.
Un altro blog pungente è www.Cartabianca.biz. Inoltre gli autori di quest’ultimo hanno dato vita ad un gruppo di studio su la storia nascosta di Modica (Genealogia ed evoluzione del potere economico e politico a Modica nel secondo dopoguerra).
C’è pure chi si occupa di ambiente e delle lotte a sua tutela come www.ambienteibleo.it e chi punta ad offrire i lato migliore delle nostre città.
Se qualcuno vorrà farsi quattro risate con doppi sensi e sfottò a politici e politicanti, locali e non, potrà divertirsi sul blog satirico di Tanino (www.nessunotocchitanito.blogspot.com) .
Ma anche a Ragusa i blog sono a rischio (vedi anche qui Carlo Ruta). Recentemente ha chiuso uno tra i primi e tra i più validi blog: www.0932blog.it . Quest’ultimo dedicato alla provincia di Ragusa ha finito la sua esperienza con queste parole, nella home page, che riportiamo: “Chiuso. Mi vedo costretto a chiudere il blog. Purtroppo la prima esperienza locale di blogging è finita con accuse di disturbi mentali e lamentele di ogni tipo. Non volendo arrecare fastidio a nessuno e non potendo cambiare il nostro modo di vedere le cose, 0932blog saluta tutti e chiude”. Chissà come è andata. Ma speriamo che queste piccole isole di sana informazione non siano travolti da chi le parole le vede con fastidio.

Giorgio Ruta

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martedì 5 maggio 2009

Giorno 8 maggio per Pino Maniaci


Palermo 5 maggio 2009

APPRENDIAMO OGGI DAL GAZZETTINO REGIONALE CHE L’AMICO PINO MANIACI E’ STATO ULTERIORMENTE MINACCIATO. E ADESSO CHE POSIZIONE PRENDERA’ L’ORDINE DEI GIORNALISTI? GLI FARA’ UNA NOTA DI SOLIDARIETA’?. ASPETTIAMO CON PAZIENZA DI VEDERE IL “BUON GUSTO” DELL’ORDINE. CHE STRANEZZA, SEMBREREBBE CHE LA PRESENZA DI PINO MANIACI ED IL LAVORO CHE SVOLGE CON CORAGGIO PER NOI , ADESSO NON DIA FASTIDIO SOLO AI MAFIOSI, MA ANCHE ALL’ORDINE DEI GIORNALISTI !!!
NOI IN OGNI CASO INCONTRIAMOCI GIORNO 8 MAGGIO ALLE ORE 9,00 DAVANTI ALLA PRETURA DI PARTINICO PER COMUNICARE AI “MAFIOSI SICILIANI E D’OLTRALPE” NONCHE’ AL NOSTRO " ORDINATISSIMO" ORDINE DEI GIORNALISTI DA CHE PARTE STIAMO.
Barbara Grimaudo – aderente al Comitato Promotore “Siamo tutti Pino Maniaci”


Fonte: http://temi.repubblica.it/micromega-online/30/04/09-il-presunto-giornalista-antimafia/
Alcuni giorni fa si è diffusa una notizia strana. L’ordine dei giornalisti si sarebbe costituito parte civile nel processo contro Pino Maniaci, conduttore, animatore e protagonista di una ormai celebre televisione locale, Telejato di Partinico. Per chi legge un blog di Micromega, come per tanti giornalisti in Italia e in Europa non c’è bisogno di dire chi è l’accusato. E’ l’erede indifeso e solitario di una lotta senza tregua alla mafia, dunque lungo un percorso che va dal “giudice ragazzino” a Falcone e Borsellino, da Pippo Fava a Claudio Fava, da Mauro De Mauro a Peppino Impastato, da Don Pugliesi a Don Ciotti, da Caponnetto a Caselli, alcuni vivi, molti morti ammazzati, nessuna resa. Sotto processo? Sì, in nome della legge. Sarà anche vero che Pino Maniaci rischia la vita ogni giorno a causa delle sue precise, mirate, documentate accuse di mafia. Sarà anche vero che le minacce contro la sua vita non sono “voci” ma faldoni della Questura. Sarà anche vero che Pino Maniaci vive sotto scorta. Ma non è un giornalista. Il suo sarà anche un nobile Tg di denuncia, ma “il Maniaci” come si legge negli atti processuali, “Non è iscritto all’ordine dei giornalisti”. Come si vede qui, ci sono due notizie che fra poco saranno lo spunto drammatico e incredibile di un buon film. La prima è che Pino Maniaci si permette di denunciare, con vere notizie di tipo giornalistico, la mafia. Ma non può farlo perché non è iscritto all’ordine dei giornalisti. La seconda notizia è che l’ordine dei giornalisti non perde tempo con la mafia, va al vero nocciolo della questione. Inutile divagare sulla nobilttà degli intenti del presunto eroe di anti-mafia. Quale eroe? Non è giornalista. Va processato per l’infame reato. E la vera parte lesa non è la Sicilia martoriata di mafia ma l’ordine dei giornalisti offeso da un ruba mestiere. Perciò: parte civile. Purtroppo la triste storia di oggi (e l’inevitabile film di domani) non è finita. Occorre sistemare un “flashback” narrato su questo stesso blog da Beppe Giulietti (Art.21). L’ordine dei giornalisti, la federazione della Stampa e l’Unione cronisti, in tempi un po’ diversi, erano andati a Partinico a offrire “al Maniaci” la tessera onoraria di giornalista. Infatti lo sanno tutti che, con il suo rischio quotidiano, Pino Maniaci onora la professione del giornalista e il lavoro di ogni giornalista. Resta una domanda. Che cosa è accaduto, o cambiato, per indurre l’onorevole ordine dei giornalisti d’Italia a questa corsa per punire lo sfacciato che, tessera onoraria o no, lotta alla mafia o no, fa il giornalista ma non è giornalista?

Furio Colombo

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Logiche di un potere siciliano. L’Arra di Felice Crosta


L’Agenzia regionale per i rifiuti e le acque ha dettato regole e mosso fiumi di denaro, lungo tutto il perimetro degli Ato. Di emergenza in emergenza, in più occasioni è finita sotto accusa. L’Ars ne ha deciso quindi, nel dicembre 2008, lo scioglimento. Eppure continua a esistere e a reggere i giochi. Lo farà per tutto il 2009. Ma tante cose vanno muovendosi perché la decisione venga revocata.

di Carlo Ruta

C‘è un soggetto pubblico in Sicilia che evoca emergenze, ma anche torrenti di denaro. È l‘Arra, Agenzia regionale per i rifiuti e le acque, istituita con decreto del presidente della regione Cuffaro il 28 febbraio 2006. Si tratta di una struttura centralistica, rigidamente verticale, che ha avocato competenze che appartenevano a un pulviscolo di enti territoriali: dai comuni ai consorzi di bonifica, assumendone comunque di nuovi, sulle linee della legge Galli. L’avvento di tale organo ha chiuso in via definitiva la fase, inaugurata dal generale Roberto Jucci, dei commissari regionali per l’emergenza idrica, di cui si erano serviti i passati presidenti. In una situazione che sempre più andava intricandosi, con il mobilitarsi di interessi forti oltre che con la crescita delle problematiche sul terreno, quella esperienza si era dimostrata in effetti debole, necessariamente priva di profilo strategico. E il passaggio, logico e per certi versi necessario, si è dimostrato adeguato alle aspettative. L’Arra, guidata dall’avvocato Felice Crosta su designazione di Cuffaro, ha permesso di convogliare nell’isola fondi europei per miliardi di euro, che non potevano essere utilizzati con la gestione commissariale. Palazzo d’Orleans ha potuto contare, da quel momento, su un braccio operativo coeso, in grado di porsi come interlocutore unico di tutte le parti in gioco, quindi garante di un sistema. In definitiva si è materializzato dal versante pubblico il collante che occorreva per combinare interessi distanti, passato e presente, tradizioni che non intendono demordere e scommesse sul futuro. A dispetto dei suoi poteri di mediazione e, almeno in via ufficiale, di intervento specialistico, l’Arra reca un profilo pesante. Come altri organi regionali di recente istituzione è retta infatti da logiche di sottogoverno, tese a garantire la stabilità del personale politico a dispetto degli eventi. In questo senso non differisce tanto dagli enti regionali di un tempo: l’Ems, l’Eas, altri ancora. Si è distinta inoltre, sin dalla nascita, per le spese inusitate del suo funzionamento, a tutti i livelli, a partire comunque dal più elevato. Crosta, che dagli esordi la dirige con piglio decisionistico, è risultato il burocrate meglio pagato in Italia, con un compenso complessivo di oltre 500 mila euro l’anno, pari a circa 1500 al giorno. Per contenere lo scandalo che andava montando nel paese, si è adottato un escamotage singolare, inteso a bilanciare di fatto i poteri nell’Agenzia. Nel 2008 è stato posto per legge un tetto di 250 mila euro ai compensi dei burocrati, ma, contestualmente, è stato deciso di affiancare a Crosta tre consiglieri, perché tutti i partiti di governo potessero essere rappresentati. La scelta è caduta quindi su Giuseppe Infurna, ex deputato regionale di An, Rossella Puglisi, già candidata per l’Udc alle politiche del 2008, Guglielmo Scammacca, ex assessore regionale ai Lavori Pubblici: quest’ultimo poi sostituito, per riequilibrare le influenze, da Giovanni Cappuzzello, già candidato Mpa alle politiche. Anche tali consiglieri beninteso, sulle cui professionalità e competenze ha dovuto garantire Crosta, non importa con quanta convinzione, godono di compensi annui di 250 mila euro cadauno, per 750 mila complessivi. Gli stipendi d’oro e gli scambi con i partiti di governo, nel solco appunto di una tradizione, costituiscono tuttavia solo il sintomo di un modo di essere, perché nelle politiche sul terreno si sono espresse compiutamente le logiche dell’autorità regionale. Ne sono uscite infatti istituzionalizzate emergenze che prima erano state gestite in modo contingente e tattico, con aggravamenti non da poco. In tema di rifiuti, il caso più rappresentativo è quello dei termovalorizzatori, la cui realizzazione, a dispetto dell’opposizione di intere cittadinanze, era stata assegnata nel 2003 a compagini guidate dal Gruppo Falck e da Waste Italia. Dopo l’annullamento della Corte di Giustizia dell’UE dei due appalti, quando le installazioni erano già in opera, l’Agenzia di Crosta avrebbe potuto agire con determinazione lungo vie alternative, come veniva indicato da tecnici e da estesi movimenti. Invece ha preso tempo e insiste a prenderne, tanto da legittimare l’ipotesi, nell’ambito delle opposizioni politiche e non solo, che si voglia eludere, con dei marchingegni, il divieto dell’Unione Europea, mentre nelle città siciliane incombono emergenze rifiuti di rilievo napoletano e in certi ambienti si insiste a guadagnare con le discariche abusive. In tale vicenda, che ha visto in palio oltre un miliardo di euro, Felice Crosta, prima da vice commissario per l’emergenza rifiuti, poi da presidente dell’Arra, è andato muovendosi in realtà con spesse motivazioni. Nel 2003 ha siglato personalmente la convenzione con le compagini vincitrici, di cui ha avuto modo di conoscere da vicino caratteri, progetti, apparentamenti. Le anomalie degli appalti che alcuni anni dopo sarebbero state riscontrate in sede comunitaria non poterono essere quindi frutto del caso. Richiamano bensì degli atteggiamenti. E la cosa tanto più appare indicativa, di un clima se non altro, se si tiene conto di alcune realtà economiche incastonate in quelle cordate aggiudicatarie, che reclamano oggi una penale di 200 milioni di euro per l’annullamento degli accordi. Si tratta della Emit, che fa capo alla famiglia Pisante, e della Altecoen, che riconduce al medesimo gruppo oltre che all’imprenditore Pietro Gulino di Enna. La prima risulta presente negli appalti per i termovalorizzatori di Palermo e Casteltermini, sotto la guida della Actelios del gruppo Falck. La seconda figura nel cartello aggiudicatario dell’inceneritore di Augusta, guidato ancora da Actelios, mentre costituisce un pezzo forte del consorzio Sicil Power, che si è aggiudicata l’appalto dell’inceneritore di Messina. A fare la differenza sono comunque due dettagli. Sia i Pisante sia Gulino recano un passato giudiziario importante. I primi, che proprio con l’imprenditore ennese sono stati dentro l’affare dei rifiuti di MessinAmbiente, finito in scandalo con numerosi arresti, risultano inseriti in modo strategico, con presenze quindi a tutto campo, nell’altro ambito interessato dall’Arra: quello dell’acqua. Ebbene, tutto questo, ancora una volta, non può essere considerato casuale. Richiama bensì concertazioni mirate, una macchina in movimento, che trova riscontri proprio nei modi in cui l’Agenzia di Crosta si è posta sul terreno delle risorse idriche. In effetti, pure da tale prospettiva sono andati creandosi strani miscugli, largamente condivisi dai potentati regionali. Il momento di avvio, che in qualche modo ha aperto le piste dell’affare siciliano, si è avuto comunque con l’entrata in campo della multinazionale francese Veolia intorno al 2003. Tale società aveva già stretto un patto di ferro con i Pisante, attraverso la condivisione del pacchetto azionario della Siba, che aveva assunto gestioni di acqua e depuratori lungo tutta la penisola. Volgendosi alla Sicilia, recava quindi buone ragioni per fare cordata con l’alleato pugliese, che peraltro, proprio nell’isola recava interessi e referenti. Pure con questi ultimi, beninteso, la multinazionale ha dovuto fare i conti. Si è ritrovata a interloquire infatti con il Gulino di Altecoen e ha dovuto riconoscere spazi di tutto rispetto al nisseno Di Vincenzo. In tali termini si compiva quindi, nel 2004, la maggiore esperienza di privatizzazione dell’acqua nell’isola, con il passaggio degli acquedotti dall’Eas a Sicilacque. E Felice Crosta, nelle vesti allora di commissario straordinario all’emergenza, sul piano strettamente operativo ne è stato l’artefice, per diventarne infine, da plenipotenziario dell’Arra, il garante. Nell’aprile 2004, Salvatore Cuffaro dichiarava solennemente che la privatizzazione era ormai pressoché fatta e l’emergenza in via di superamento. Ma le aspettative di un iter veloce e confortevole della prima sono durate poco. L’istituzione dell’Agenzia è apparsa la risposta idonea. E in una certa misura lo è stata, se è riuscita, appunto, ad avocare a sé poteri, a stabilire quindi regole e direzioni di marcia in tutto il territorio regionale. Non si è tenuto tuttavia conto di talune situazioni sul terreno, che sono andate facendosi sempre più magmatiche. Non si tratta solo dei ricorsi al Tar, che nella definizione degli appalti sono diventati una consuetudine. Né delle direttive comunitarie, che pure hanno costituito uno scoglio difficile, talora addirittura insuperabile. È maggiormente lungo il perimetro degli Ato che il disegno strategico di Crosta è andato impigliandosi. A partire dagli Ato stessi. Ne sarebbero potuti nascere uno per provincia. Ne sono risultati 27, che contano ben 189 consiglieri d’amministrazione. In sintonia con contraenti privati, sotto comunque le direttive dell’Arra, le autorità di Ambito avrebbero dovuto mettere ordine nei servizi idrici e nel ciclo dei rifiuti, invece su entrambe le linee si è finiti in piena calamità. In ultimo, l’intera macchina degli Ato è entrata in crisi, fino al limite del dissesto, con un indebitamento complessivo di quasi un miliardo di euro, non tanto per le difficoltà economiche degli enti locali di riferimento, pur significative, quanto per i modi in cui ha gestito le proprie economie, a partire dalle spese di funzionamento, che non costituiscono beninteso le maggiori. Alcuni numeri al riguardo sono eloquenti: solo i 189 consiglieri di amministrazione costano ai comuni circa 12 milioni di euro l’anno; una somma analoga viene destinata a incarichi di consulenza; qualche milione viene speso addirittura per le auto blu. L’Agenzia di Crosta è andata portandosi, come è evidente, su un terreno critico. Alle emergenze che ne hanno garantito la sopravvivenza e il potere, se ne sono aggiunte infatti altre, meno controllabili, tanto più in tempi di recessione. D’altra parte, restano impegnative le pretese del privato, entro cui insistono a influire le ipoteche della tradizione. Garante di un sistema che ha incluso ed escluso, l’Arra ha sempre rispettato i patti con i contraenti, visibili e sottintesi. Ne danno conto i capitoli di spesa della Regione, l’impiego di fondi europei, la concessione a certe condizioni del patrimonio pubblico, la condivisione o la tolleranza di taluni stati di fatto. Con l’apporto decisivo degli Ato e non solo, ha finito quindi con il rendere sistema, più ancora che in passato, lo spreco di risorse. Mentre si consuma allora il fallimento del piano rifiuti, Felice Crosta può trovare confacente siglare un accordo con Actelios e Sicil Power, con cui viene stabilito in 200 milioni di euro la somma che dovrà essere pagata alle medesime a titolo di penale per l’annullamento dell’appalto degli inceneritori: un importo, appunto, che lascia tanto dubitare. A dispetto dell’obbligo di astensione, l’Arra trova altresì confacente proporre nuovi bandi di gara, che violano di fatto l’obbligo di esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia Ue, oltre che i princìpi della libera concorrenza. E ancora, di concerto con la Regione, che intanto ha dovuto farsi carico dei 540 milioni di debiti accumulati dall’Eas, trova congruo che gli indebitamenti degli Ato vengano risanati, come è avvenuto nel caso di Simeto Ambiente, con i fondi delle autonomie locali. Tutto questo ha recato beninteso dei costi, che possono esporre l’autorità regionale a una serie di pericoli. Alcuni segnali possono persino evocare gli anni dell’Eas di Aristide Gunnella, finiti in scandalo: il crepuscolo cioè di un sistema che nei decenni della Dc aveva espresso i caratteri di un feudo. In tutta la Sicilia è in effetti allarme. Le denunce si moltiplicano. In numerosi centri la protesta, che sempre più riunisce l’intera banda delle emergenze, giunge a coinvolgere sindaci ed esponenti degli stessi partiti che governano la Regione. E dal palazzo liberty da cui muovono Crosta e i suoi commissari ad acta si colgono indizi di tensione, mentre la partita dei termovalorizzatori, sempre più influente e contaminante, rischia di generare ulteriori scoperture. Su tali sfondi trova senso allora la decisione di sciogliere l’Agenzia, presa dall’Ars il 28 novembre 2008, su proposta del consigliere Giuseppe Laccoto del Pd. Il termine delle operazioni di chiusura è stato fissato nel 31 dicembre 2009, dopo cui è prevista l’entrata in funzione di un Dipartimento delle acque e dei rifiuti presso il nuovo assessorato dell’Energia. Ma per il sistema vigente è scoccato realmente l’inizio della fine? L’Arra, espressione del potere regionale, si è resa garante di equilibri delicati, fino a divenire l’emblema, si direbbe il monumento, della privatizzazione in stile siciliano. Non può quindi scomparire senza che se ne avvertano serie risonanze. Crosta in particolare si è assunto l’onere di condurre in porto progetti che restano largamente irrisolti. Esistono servizi idrici da assegnare in aree importanti, come quelle di Messina e Trapani. La problematica dei termovalorizzatori rimane appunto nelle secche. Per tali ragioni, e non solo, è difficile che entro il dicembre 2009 i conti possano essere chiusi. Se da parte dell’opposizione, con un emendamento proposto dallo stesso Laccoto, è stato chiesto quindi di anticipare lo scioglimento dell’Agenzia e il passaggio di consegne, nell’ambito dei partiti di maggioranza si sta operando perché la decisione dell’Ars venga rivista, elusa, fatta decadere. In questa direzione va in particolare la presa di posizione del capogruppo dell’Udc Rudy Maira, secondo cui la professionalità acquisita sul campo dai funzionari dell’Arra non è sostituibile. Il resto, ovviamente, va facendosi in sordina.


Fonte: “L’isola possibile” rivista mensile siciliana allegata a “Il Manifesto”.


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E' uscito il nuovo numero de "Il Clandestino"


A seguire i punti vendita in cui potete trovarlo. Per qualsiasi informazione e per ricevere copie del mensile contattateci al nostro indirizzo e-mail.
MODICA
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Libreria Mondadori, Via Roma
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sabato 2 maggio 2009

Regalo alla mafia


Accadono fatti strani per quanto riguarda il ddl sulla sicurezza che il Governo sta discutendo in questi giorni. È venuto fuori anche il problema del racket, ovvero quelle “attività criminose finalizzate a controllare determinati settori delle attività economiche e commerciali, estorcendo denaro con le intimidazioni e punendo materialmente chi si rifiuta di sottostare a questo sistema”.
Lo scontro verte su questo: l'imprenditore, oggetto di intimidazioni, ha l'obbligo di denunciare alle autorità l'avvenuto;
pena, la perdita della commessa e l'interdizione dalle gare per tre anni. Dunque, in caso di vincita di un appalto, e nel caso in cui la mafia chieda del denaro al vincitore, quest'ultimo ha l'obbligo di denunciarlo: in teoria, dalla denuncia dovrebbero seguire le ovvie indagini, risalire al mittente e magari, se non è troppo, sbatterlo in galera. Manlio Contento, membro del Pdl ed ex aennino, non ci sta. Vuole revocare questo obbligo perché, secondo lui, “Se un imprenditore è minacciato dell'uccisione del figlio e non lo denuncia per paura di perderlo, poi non può perdere l'azienda. Se vieni chiamato da polizia e pm e non collabori è diverso”. È diverso? Allora: se l'imprenditore riceve delle minacce, non deve avere l'obbligo di denuncia; se sta zitto, riceverà il suo appalto, pagherà gli estorsori e tutto andrà benissimo, nell'illegalità, ovviamente.
Ma attenzione! Se, invece, viene chiamato dalla polizia e dai pm per collaborare, “è diverso”, deve parlare, altrimenti viene accusato di favoreggiamento. Tuttavia, “se parla”, si ritrova nella stessa situazione di rischio del caso precedente: già, perché gli estorsori, al momento della minaccia, non obbligano esclusivamente a pagare ed a non dire nulla, ma impongono che il silenzio venga rispettato anche nel caso di eventuali indagini. È così che nascono gli eroi: Mangano, uno dei mafiosi più “importanti” di Cosa nostra, è stato definito “eroe” dal presidente del Consiglio per non aver mai parlato in carcere. Scontato vero? Per Contento, lo dice il nome stesso, no. Ma anche il ministro della giustizia (quale giustizia?) Alfano ed il sottosegretario alla giustizia Giacomo Caliendo - tutti rigorosamente Pdl - sono d'accordo. Sembra che ci si trovi dinnanzi ad un bel regalo alla mafia, in un momento in cui, guarda caso, fioriscono gli appalti per l'Expo di Milano e si parla di ponte sullo stretto ed infrastrutture varie. La notizia è arrivata nello stesso periodo dell'anniversario per l'omicidio di Pio La Torre, ammazzato dalla mafia. Com'è strana, la politica.

Rosario Di Raimondo



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