lunedì 11 maggio 2009

Mafia: Cosa Nostra sbarca a Ragusa, ecco la storia dei boss che vivono sul territorio ibleo


di Giuseppe Bascietto

Nella lontana, lontanissima Ragusa, tra gli agrumeti di Acate e la zona balneare di Pozzallo, poco distante da Vittoria, dove il 2 gennaio 1999 cinque ragazzi sono stati uccisi, in poco più di 10 minuti, dalla fine degli anni settanta si sta registrando una progressiva e costante infiltrazione di uomini di Cosa Nostra.

Qui la mafia non esiste, si diceva, c'è solamente criminalità comune, che si è aggregata attorno alla Stidda di Carmelo Dominante e dei fratelli Bruno, Claudio e Silvio Carbonaro. Invece ad aprire la serie sono Natale e Vincenzo Rimi, mandati in soggiorno obbligato a Ragusa. Ma chi erano i Rimi? I padroni di Alcamo, ovvero il "clan degli americani", dei rapporti con Cosa nostra, degli stretti legami col mondo politico. Una dinastia che ha rappresentato la sintesi della metamorfosi mafiosa degli ultimi sessant'anni, con un capoclan, il vecchio Vincenzo Rimi, che riporta alla memoria i bei nomi del Gotha mafioso del feudo: da Vizzini, ai Di Carlo, dai Di Cristina, ai Mancino, agli Zizzo, a Liggio prima maniera.
Quando don Vincenzo venne condannato all' ergastolo le redini della famiglia furono prese da Filippo, il duro del clan, coinvolto nell' omicidio di Stefano e Salvatore Leale, padre e figlio, uccisi a Palermo nella metà degli anni Sessanta. Ad accusare Filippo Rimi fu Serafina Battaglia, moglie di Stefano, con una testimonianza coraggiosa e spregiudicata. La donna ammise che il marito era coinvolto nell' attività mafiosa e tirò in ballo le responsabilità del capofamiglia di Alcamo coinvolgendo altre novantatre persone. Per il boss l' ergastolo fu inevitabile, anche se, come si legge nella relazione antimafia, "arrivarono pressioni consistenti di uomini politici e funzionari per rendere meno pesante la permanenza di Filippo Rimi dietro le sbarre". In carcere il boss non si trattenne a lungo. Il tempo di ottenere l' assoluzione per insufficienza di prove e ritornare ai traffici illeciti assieme alle cosche emergenti del trapanese. Dopo la scarcerazione nessuno aveva più saputo nulla di Filippo Rimi e la sua eredità era stata raccolta dal figlio Leonardo, che aveva scalato velocemente la piramide del crimine collezionando diverse denunce, tra cui una per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga. All'inizio degli anni settanta la famiglia Rimi torna a far parlare di se. Natale Rimi, il ragioniere, fratello di Filippo, fu trasferito dal Comune di Alcamo alla Regione Lazio. Un passaggio giudicato dalla commissione antimafia "carico di sospetti" e per il quale Natale Rimi fu arrestato e trasferito presso il carcere di Ragusa al soggiorno obbligato nel 1972 ed infine condannato nel 1977, assieme all' ex presidente democristiano della Regione Lazio Girolamo Mechelli e ad Italo Jalongo, consulente fiscale del boss Frank Coppola. Sono loro a prendere i primi contatti con la malavita locale, per tessere quella rete di complicità e di connivenze che permetteranno ai boss di Cosa Nostra di insediarsi nel territorio ibleo. La provincia di Ragusa come area di insediamenti mafiosi che nasce con i soggiorni obbligati e con i trasferimenti di grossi criminali nel penitenziario della zona.Sono gli anni in cui nel ragusano prende corpo l'ipotesi della costruzione della base missilistica. La modernità dei missili suscita appetiti e favorisce le sintonie tra il legale e l'illegale. Si arriva in questo modo allo snodo degli anni ottanta, quando la provincia entra con forza nell'intrico di nuove logiche. Spuntano dal nulla imprenditori e "petrolieri". Cosi, fra il '79 e l'80, si fanno avanti i boss palermitani e trapanesi, che iniziano ad acquistare ettaro per ettaro i terreni attorno ad Acate, Santa Croce, Vittoria e Comiso. La provincia iblea passa cosi il guado. Qui si radicano i Teresi, i Rollo, i Greco di Ciaculli, gli Amoroso, i Salvo di Salemi, gli Aiello di Bagheria. Sono calmi. Hanno deposto le armi e vivono da imprenditori, non entrano in conflitto con gli stiddari di Carmelo Dominante, fanno agricoltura, trasformano terreni, hanno creato aziende agricole e vitivinicole, si tengono a debita distanza dai Madonia di Vallelunga e contano su referenti a Vittoria, Modica e Ragusa nell'ambito della politica, dei consorzi, dell'ispettorato agrario, mirando ai contributi e ai finanziamenti dell'Unione Europea.

Inoltre controllano in diversi comuni la nettezza urbana, i servizi funebri e condizionano gli appalti pubblici. Insomma stanno lontani dai riflettori, ma controllano decine di attività economiche. E' in questo quadrilatero, quindi, che negli anni settanta questi personaggi compiono una delle più colossali operazioni di riciclaggio e investimento di denaro sporco. Non è un caso che nel 1982, in perfetta sintonia con quello che stava accadendo verso la fine degli anni settanta nel sud-est dell'isola, si insedia nella provincia iblea, l'imprenditore bresciano Oliviero Tognoli, incaricato dalla mafia di riciclare i proventi del colossale traffico di droga fra Stati Uniti, medio Oriente e Europa. Tognoli, prima di darsi alla latitanza, si insedia a Modica e Pozzallo, dove acquista aziende in fallimento. Alla fine degli anni ottanta guadagna terreno nella zona di Vittoria la ditta Bruccoleri di Favara(AG). Vince l'appalto per l'estrazione della sabbia dal porto di Scoglitti, un affare da un miliardo l'anno. E tra le famiglie di Cosa Nostra che vivono stabilmente in provincia di Ragusa, troviamo i fratelli Gaspare e Salvatore Gambino, originari di Villabate e parenti di Carlo Gambino, capo indiscusso di Cosa Nostra americana fino al giorno della sua morte nel 1976. La famiglia dei Gambino è probabilmente la più famosa famiglia mafiosa americana di origine siciliana. Infatti il boss Carlo gambino, uomo capace di tenere le fila dell'organizzazione agendo nell'ombra e senza esporsi, con un carattere all'apparenza mite e pacato, ha diretto per quasi un ventennio l'attività criminale della famiglia (da metà degli anni cinquanta fino alla sua morte per cause naturali), sfruttando la sua rinomata 'invisibilità' e intelligenza. Legato ai valori tradizionali mafiosi, aveva come arma principale l'astuzia più che la violenza. Non fu mai arrestato durante la sua 'reggenza' e sembra che la sua figura sia il Don che ha maggiormente ispirato il personaggio di Vito Corleone nel film il padrino. All'apice del potere il clan dei Gambino aveva ai suoi ordini 500 uomini d'onore con 2000 affiliati. Quella dei Gambino si dimostrerà una famiglia molto dedicata alla mafia, e Thomas Gambino figlio di Carlo sarà uno dei successori, insieme all'altro figlio John, mentre altri parenti come John e Joseph e Gambino si dedicheranno al traffico di droga.
Qualcuno potrà dire che sono storie vecchie. Ma non è cosi, perchè personaggi e sistemi sono sempre gli stessi. Perché i trentenni di allora sono i sessantenni di oggi, sempre in grado di gestire enormi quantità di affari. E poi se qualcuno di questi personaggi muore ci sono sempre i figli a continuare la tradizione. A conferma di tutto questo , basti ricordare che Luciano Liggio, detto la primula di Corleone, arrestato a Milano nel 1974, durante il periodo della latitanza, aveva commesso al nord alcuni sequestri di persona, con gli stessi personaggi con i quali trent'anni prima, aveva rapito e ammazzato il sindacalista di Corleone Placido Rizzotto. Se prima, quindi, afferma Carlo Ruta, autore di diversi saggi sulla mafia negli iblei, si muovevano famiglie o parti di esse, oggi si spostano con più facilità capitali, che trovano supporti patrimoniali, tecnici e referenti che garantiscono impunità e tutela. Se negli anni settanta venivano create aziende agricole, negli anni ottanta si preferivano le segherie, la produzione di concimi, i commerci di plastica e di macchine utensili, oggi risulta più conveniente investire in ristoranti, mega-discoteche, alberghi, villaggi turistici, ipermercati e pompe di benzina. Questa è la nuova frontiera del crimine organizzato, che ha trasformato la provincia di Ragusa in una nuova Svizzera.

Ma il paesaggio tuttavia è cambiato e cambia ancora. Cosi, può capitare, che all'inizio degli anni novanta, Cataldo Farinella, imprenditore di rango, durante la latitanza, ottiene appalti miliardari dall'azienda di sviluppo industriale di Ragusa, per lavori nel porto di Pozzallo. Anche Ercolano, cognato di Nitto Santapaola, capo della mafia catanese, ottiene appalti dall'azienda asfalti siciliana che ha sede a Ragusa. Quando il secolo sta per volgere alla fine, nel panorama ibleo, fa capolino Nicola Burriesci. Nel mirino dei giudici antimafia dal 1997, perché considerato l’uomo che per conto di Bernardo Provenzano gestiva i rifiuti in Sicilia, Burriesci viene arrestato nel luglio del 1998, nell’ambito dell’operazione Trush(spazzatura); rilasciato quasi subito, appena torna libero riprende i contatti con la politica. E subito dopo da Palermo viene mandato a Ragusa, dove viene nominato dall’On. Giovanni Mauro di Forza Italia, che in quel periodo ricopriva la carica di Presidente della Provincia, consulente per la gestione dei rifiuti. Ma l’On Mauro è anche il referente del palermitano e sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio con delega al CIPE Gianfranco Miccichè. Complicità? Sinergie? Chissà. L’incarico, comunque, è destinato a durare poco. Agli inizi del 2000 Burriesci viene trovato morto. Il cuore non ha retto si legge nel referto medico. E la procura della repubblica archivia il caso. Sinergie? Non è una caso che, sempre in questa porzione di territorio abbiano sequestrato beni per oltre 2 milioni di euro a Simone Castello, che dagli atti giudiziari risulta essere prestanome di Bernardo Provenzano e una delle poche persone, si diceva prima dell'arresto avvenuto l'11 aprile del 2006 ad averlo visto in faccia. Ancora oggi Simone Castello vive tra Vittoria e Acate.

Un'altra vicenda dai contorni inquietanti merita poi una chiosa. Quella di Rosario Purpura. Racconta Bruno Carbonaro, capo della Stidda vittoriese negli anni ottanta, di fronte ai magistrati della DDA di Catania: "Rosario Purpura è il referente dei corleonesi di Totò Riina per la zona di Vittoria". Ma Purpura nel corso degli anni lavora tranquillamente. Ottiene appalti dalla pubblica amministrazione, intesse rapporti con imprenditori e liberi professionisti locali e costruisce enormi complessi edilizi, dove ormai da qualche anno alcuni enti pubblici(Azienda Sanitaria Locale, Poste e Telecomunicazioni e Ministero delle Finanze), nonostante le affermazioni dei collaboratori di giustizia, hanno spostato i loro uffici, con buona pace della lotta alla mafia. Insomma un imprenditore di peso in ottimi rapporti con tutti. Complicità? Connivenze o semplice inerzia? Chissà. E qui la storia si fa veramente più complicata: "davvero la Stidda di Carmelo Dominante e Bruno Carbonaro ha tenuto lontana Cosa Nostra dal territorio ibleo?

In realtà, sin dall'inizio degli anni novanta, da quando il potere è passato nelle mani di Carmelo Dominante e della sua famiglia, è avvenuta una spartizione della zona. Cosa Nostra si occupa dei grandi appalti, dei legami con il mondo della politica, della finanza e dell'imprenditoria più spregiudicata, e la Stidda, non riuscendo ad andare oltre la realtà locale, non riuscendo ad inserirsi nel grande traffico internazionale della droga e delle armi, si occupa delle attività classiche: "traffico di droga finalizzato al fabbisogno locale, estorsioni, gestione di bische clandestine, controllo del territorio, gestione delle macchinette video poker, i cui proventi, che si aggirano sui 5 mila euro a settimana per macchinetta, servono per riciclare denaro e mantenere le famiglie dei detenuti". Cosi si è riusciti in parte a arginare il fenomeno dei collaboratori di giustizia. In un certo senso la Stidda in questa provincia è stata funzionale a Cosa Nostra, perché tutte le energie delle forze dell'ordine e della magistratura sono state rivolte alla sconfitta dei clan stiddari che hanno messo a ferro e fuoco la provincia iblea, lasciando all'organizzazione principale libertà di agire sul territorio. Complici il silenzio e l'indifferenza quindi, la mafia ha potuto agire indisturbata, grazie a una densa cortina di omertà che da sempre la protegge. Non è un caso che nessuno, in quella che è stata la provincia che ha dato i natali a Quasimodo e Bufalino, parli della presenza di uomini di Provenzano e Riina. Una seconda considerazione, infine, riguarda la collocazione geografica della provincia. Infatti tutta la costa iblea, che da Pozzallo si estende fino a Marina di Acate, passando per Marina di Ragusa e Scoglitti, non è sottoposta a nessun tipo di controllo. Lungo queste coste, secondo una nota informativa del comando generale dell'arma dei carabinieri(1993), è probabile che le organizzazioni mafiose, tramite mezzi di imbarcazione provenienti dall'isola di Malta, facciano sbarcare armi e droga in grande quantità da destinare alle cosche criminali dell'isola. Quindi un pezzo di territorio, diventato zona franca, dove è possibile, grazie ad un rigido controllo della zona da parte delle bande criminali, effettuare traffici illeciti. Per questi motivi il territorio di Ragusa sta diventando terreno di scontro tra le cosche di Palermo, Catania e Caltanissetta. Comunque resta il fatto che in una terra di frontiera come la provincia di Ragusa, si continua a far finta di niente.

Eppure i numeri parlano chiaro: " oltre venti operazioni di polizia e carabinieri negli ultimi dieci anni; 1600 persone inquisite o arrestate per mafia su una popolazione di appena 280.000 abitanti, che, tradotto in cifre, significa un carcerato o un inquisito ogni duecento-duecentoventi abitanti; in Italia c'è un carcerato ogni 1200 abitanti; oltre 150 morti ammazzati in tutto il territorio ibleo; un comune, quello di Scicli, sciolto per infiltrazioni mafiose nel 1993; politici e amministratori locali arrestati con accuse che vanno dalla corruzione all'associazione a delinquere; capi clan che fondano partiti e partecipano attivamente alla vita politica e amministrativa; beni confiscati per oltre 20 milioni di euro (appartamenti, ville, automobili, camion, appezzamenti di terreni, aziende agricole, agenzie di autotrasporti e conti correnti bancari); e cosa si è fatto? Nulla. Esaminando queste cifre da sole c'è quanto basta per far diventare Ragusa un secondo "caso Messina". Quindi, esiste una connessione tra mafia, politica e economia nel ragusano, dice Carlo Ruta, ma non esistono gli storici che dovrebbero indagarlo, i cronisti che dovrebbero registrarlo e gli studiosi che dovrebbero esaminarlo. Cosi, in questo lembo estremo della Sicilia sud orientale, in questi orti baciati da Dio e calpestati dall'uomo, fra gli impeti di Vittoria e la quiete di Ragusa, si dissolve e muore il mito della provincia tranquilla.

Fonte: www.accadeinitalia.it

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