domenica 15 febbraio 2009

“Mamadou va a morire”. Intervista a Gabriele Del Grande



“Mamadou va a morire” è il racconto di un giovane giornalista che ha seguito per tre mesi le rotte dei suoi coetanei dalla Turchia al Maghreb e fino al Senegal. Un libro che ritrae le storie di tanti giovani con il sogno di passare il grande Mediterraneo per arrivare nell’occidente. Storie che molte volte non finiscono con un lieto fine. Il Mediterraneo si trasforma per tanti in un enorme cimitero, ma non tutti ci arrivano. C’è chi muore per il caldo del Sahara, per la violenza della polizia, per il freddo, c’è chi muore sui campi minati e chi per fame. Un libro che riesce a dipingere un quadro lucido del fenomeno immigrazione, smentendo la tesi dell’invasione dei clandestini nei nostri paesi. Abbiamo parlato di tutto questo con l’autore: Gabriele Del Grande.
In “Mamadou va a morire” segui le rotte dei tuoi coetanei che sognano le nostre coste. Cosa ti ha spinto a intraprendere un viaggio cosi lungo e duro, quale esigenza ti ha motivato?
Lavoro come giornalista. Lavoro raccontando la realta'. Mi trovai per caso di fronte a una mole di notizie impressionanti sui decessi dei migranti lungo le frontiere europee, nel Mediterraneo e non solo, a meta' del 2005. Prima ideai l'osservatorio on line Fortress Europe, http://fortresseurope.blogspot.com . Poi decisi di partire, perche' c'era la necessita' di rompere il silenzio su quelle stragi. E di farlo assumendo il punto di vista delle vittime. E quindi della riva sud di questo mare.
Nel tuo libro sottolinei più volte che quella degli immigrati clandestini è un’invasione che non c’è, ma per quale motivo allora il problema immigrazione viene visto come primario, e soprattutto viene imposto dal punto di vista della sicurezza? Perché i grandi numeri, che tu riporti, di uomini inghiottiti dal Mediterraneo non fanno notizia?
Da anni siamo vittime di una propaganda bipartisan sull'immigrazione, basata su una serie di menzogne. Lo dimostrano i dati. Nel 2008 sono state intercettate circa 36.000 persone nel Canale di Sicilia. Nello stesso anno il governo Berlusconi, per mano del suo ministro dell'interno Roberto Maroni, ha chiesto l'ingresso di 150.000 lavoratori stranieri. Che significa? Che per una persona che arriva via mare, la nostra economia ne chiede altre 4. E nel 2007 il rapporto era di uno a dieci. Il vero problema e' l'impossibilita' di viaggiare legalmente dai paesi poveri verso l'Europa.
I dati sui morti non fanno notizia per tanti motivi. Prima di tutto sono i morti degli altri. E non i nostri. In secondo luogo c'e' una forte disinformazione. Che va oltre il fenomeno immigrazione. Il giornalismo in Italia e' sempre piu' un circuito di comunicazione che corre sui binari delle dichiarazioni dei politici e delle loro vuote polemiche. Le notizie non fanno notizia se non c'e' la dichiarazione del politico. E da parte dei politici c'e' una precisa volonta' a non assumere il dramma delle migliaia di morti in mare. Perche' significherebbe assumersene anche la responsabilita'. Meglio gridare all'invasione e fare voti intorno alla paura.
Ritieni che i nuovi provvedimenti sulla sicurezza, penso ai medici che possono denunciare i clandestini, vanno nella direzione giusta?
Vanno nella pericolosissima direzione della persecuzione di una minoranza consistente nel nostro paese. I circa 500.000 stranieri senza permesso di soggiorno che vivono e lavorano qui.
Cosa ti ha colpito maggiormente vedendo e sentendo le storie dei migranti? Quale fatto ti ha scosso di più?
Mi ha colpito la forza e la determinazione di chi investe tutto, di chi rischia la vita, per regalarsi un futuro dignitoso e libero.
Del tuo libro mi hanno colpito la disperazione dei volti che hai incontrato nel tuo cammino, la violenza a cui essi erano sottoposti. Cosa hai provato a vedere i tuoi, i miei coetanei con vite così diverse dalle nostre?
In realta' non sono cosi' diverse. Lo dico in senso provocatorio. Si studia, si sogna, si ama, a nord come a sud. Ed e' questa umanita' che abbiamo rimosso. L'altro per la nostra societa' ormai e' solo una massa anomala, una collettivita' pericolosa che avanza. Un'onda. C'e' chi li chiama criminali. E chi li chiama disperati. Non sono ne' una cosa ne' l'altra. Sono individui con le loro storie e le loro personalissime ragioni.
Nei ringraziamenti citi un episodio in cui restasti bloccato al confine tra Marocco e Algeria senza un centesimo in tasca, e decidesti di scrivere agli amici un appello intitolato “Trenta euro per la vita”. Quali altri inconvenienti, più o meno graditi, ti si sono presentati?
Molti altri, ma non ha senso parlarne. Il libro non e' un racconto di viaggi. Ma un reportage su una delle piu' grandi tragedie dei nostri tempi. Rispetto alla quale ho cercato di far scomparire dalle pagine la mia persona


Giorgio Ruta


Nessun commento: