venerdì 20 novembre 2009

Sentenza del processo ai 7 pescatori tunisini



Agrigento, 19.11.2009

I due comandanti dei pescherecci condannati a due anni e sei mesi per resistenza a pubblico ufficiale e violenza a nave da guerra. Assolti tutti gli imputati dall'accusa di favoreggiamento all'immigrazione clandestina.





Il 17 novembre il Tribunale di Agrigento ha assolto i 7 pescatori tunisini dall'accusa di favoreggiamento all'immigrazione clandestina.

Tuttavia, Abdelkarim Bayoudh e Abdlbassett Zenzeri, i comandanti dei pescherecci tunisini Morthada ed El Hedi, sono stati condannati a due anni e sei mesi di reclusione perché, secondo il Tribunale, avrebbero opposto resistenza ai pubblici ufficiali che li scortavano dopo avere tratto in salvo 44 naufraghi nel Canale di Sicilia e perché avrebbero minacciato con manovre repentine ed improvvise la sicurezza delle motovedette italiane.

Quell'8 agosto del 2007, dopo che i pescatori effettuarono il salvataggio, le motovedette della Guardia di Finanza e della Guardia costiera in un primo momento cercarono di fermare la corsa verso Lampedusa dei due pescherecci tunisini, con manovre di accostamento in condizioni meteo pericolose. I due comandanti si affrettarono a raggiungere l'isola perché a bordo dei loro pescherecci si trovavano tre persone in gravi condizioni di salute.

I pescatori tunisini non capirono che le autorità stavano intimando loro l'arresto, che fu comunicato in lingua incomprensibile ai naviganti, e cercarono di evitare la collisione con le motovedette delle autorità italiane, credendo che queste fossero spinte verso i pescherecci dalle onde alte e il mare in burrasca.

Le manovre riferite da alcuni testimoni nel corso del processo hanno indotto il Tribunale a ritenere che i pescatori avessero agito resistendo agli ordini dell'autorità italiana e che avessero tentato di sfuggire alla scorta delle motovedette.

Il risultato più importante del processo di primo grado è sicuramente che la difesa è riuscita a dimostrare che si è trattato di un vero e proprio soccorso in mare di migranti che rischiavano l'annegamento. Ma, purtroppo, il Tribunale non ha creduto che i due comandanti tunisini avessero agito in buona fede ed in base alle convenzioni internazionali di salvataggio in mare. In base a tali trattati internazionali, infatti, i pescatori erano obbligati a portare in salvo i migranti naufraghi presso il luogo più "sicuro", per assicurare loro le opportune cure mediche e l'assistenza umanitaria per potere chiedere asilo politico.

Il collegio difensivo, composto dagli avv.ti Giacomo La Russa e Leonardo Marino, ha subito dichiarato che si tratta di una sentenza contraddittoria e che ricorrerà innanzi alla Corte di Appello di Palermo.

In sede di appello occorrerà valutare anche se la pratica di seguire o affiancare a breve distanza le imbarcazione cariche di cd. "clandestini" dopo interventi di salvataggio, o di incrociarne la rotta a scopo dissuasivo integrino ipotesi di reato.

Resta fermo, comunque, il fatto che l'incriminazione di chi effettua salvataggi di naufraghi costituisce un forte deterrente per la "gente del mare" a intervenire nei casi di imbarcazioni di migranti che necessitano soccorso.

I sette pescatori di Teboulbah in questi due anni, oltre a essere stati in carcere e sotto processo, hanno perso le barche, il lavoro e hanno dovuto affrontare grandissime difficoltà, insieme ai loro familiari. E dire che dovevano essere premiati per aver salvato in mare la vita di 44 persone!

Dott.ssa Germana Graceffo - Ass. Borderline Sicilia

Avv. Giovanni Annaloro - Asgi sezione Sicilia

Dott.ssa Judith Gleize - Ass. borderline-europe

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