mercoledì 31 dicembre 2008

“La volpe di sopra e la volpe di sotto”



Andino Peruviano e trascorse l'infanzia in
una comunità' india dopo aver perso entrambi i genitori. Qui apprese il quechua, sua lingua madre. Oltre la lingua venne a conoscenza di tutto il mondo culturale indios che continuo' a studiare per tutta la sua vita. Nel 1937 fu arrestato arbitrariamente, per le sue idee di sinistra dalla dittatura di Sànchez Cerro. In seguito insegnò presso l'università di Lima fino al 1969, anno del suo suicidio.
Il libro di cui vorrei umilmente parlare è forse il suo scritto più difficile sia per il linguaggio sia per l'estrema sofferenza che si avverte parola dopo parola.
Il tema principale è costituito dal pericolo della sopraffazione culturale (tema attualissimo ancora oggi) e si snoda attraverso la stesura stessa del romanzo che immediatamente si intreccia con altre forme narrative e letterarie diverse come le pagine del diario dello scrittore stesso o il testo di un discorso pronunciato in occasione di un premio.
Già incuriosisce il titolo “el zorro de arriba y el zorro de abajo”che ci porta subito a una concezione duale del mondo: sopra e sotto, vita e morte, luce e buio, sole e luna o meglio in lingua quechua Inti y Quilla.
L'opera, estremamente autobiografica, è una ricerca continua e affannosa del senso della libertà e se quest'ultima effettivamente si può riconquistare dopo averla persa e dopo essere stati costretti a vivere un' altra vita forzatamente.
Il protagonista del libro sembra un'ombra che si aggira senza una meta perchè la meta gli è stata rubata. Costretto a vivere di stenti in una città che non riesce a capire, si abbrutisce sempre più perdendo la sua lingua e la sua dignità di essere umano indios. Perseguitato nella sua terra impregnata di nobile sapienza arcaica, di rispetto inviolabile nei confronti della pachamama (madre terra) e di solidarietà, si ritrova a dover vivere nella presunta civiltà dei suoi persecutori occidentali, accecato anche dal guadagno facile che il conquistatore bianco prometteva. Questo nuovo mondo è tutto l'opposto al suo essere indios, alla sua cultura e alla sua anima e presto viene travolto dalla violenza, dalla freddezza, dal vuoto e dall'ipocrisia dell'uomo bianco.
Il contrasto tra i due mondi è assoluto e Arguedas con una forza espressiva incredibile sottolinea la sofferenza degli oppressi e l'ingiustizia terribile a cui sono sottoposti.
Il libro è anche un'accusa forte alla cristianizzazione forzata dei popoli andini e ripropone l'importanza vitale degli antichi culti come patrimonio culturale di inestimabile valore.
Infatti le volpi, che danno il titolo al romanzo, provengono direttamente dal mito andino della sierra cioè degli altipiani desertici, freddi e solitari delle Ande .
Uno dei personaggi mitologici ripreso da Arguedas nel romanzo è Huatyacuri: un Dio, un Eroe, un mendicante, oggetto di una profonda discussione tra le volpi, che con l 'astuzia vince una serie di prove estremamente sfavorevoli e sembra un'esaltazione della forza dei deboli che con l'ingegno e la fantasia riescono a resistere e a rovesciare i potenti.
Tutti gli avvenimenti descritti sono sempre accompagnati dalla musica, immancabile, che sembra dettare il ritmo al romanzo. La musica diventa l'anima delle parole e leggendo assistiamo increduli alla volpe che si trasforma in un messaggero per portare il charango a Maxwell affinchè possa suonare e possa farsi sentire lontano. Musica e danze sono per Arguedas elementi inscindibili dal testo letterario e quindi ecco affacciarsi tra le pagine dell'opera tutti gli strumenti e le danze e i ritmi dell'universo andino: gli strumenti diventano protagonisti, vivono accanto ai suonatori come fossero stati donati loro dal vento nel caso della quena (flauto di pan) o dal tuono nel caso del bombo (tamburo) o ancora dal charango strumento a 5 corde doppie dal suono tanto dolce quanto stridente. E le danze coloratissime e esorcizzanti diventano l'appiglio a quella cultura che il conquistatore vuole eliminare a tutti i costi.
Il libro non ha una vera e propria trama e alla fine possiamo leggere le lettere che Arguedas scrisse agli amici più cari annunciando e spiegando il motivo del suo gesto finale, forse non riuscì a oltrepassare il profondo contrasto che viveva tra il suo animo indios e quell'imbastardimento culturale imposto, la sofferenza forse era troppo grande e l'ingiustizia pure, quindi mi piace finire questo mio piccolo omaggio a un grandissimo scrittore con una dichiarazione dello stesso Josè Maria Arguedas: ”Tutto il mio impegno di scrittore e di studioso è stato volto a far conoscere la ricchezza dell'arte e della cultura di un popolo, che si considerava degenerato, indebolito e impenetrabile, e in realtà altro non era se non ciò che diventa un grande popolo quando è oppresso”.


Stefano Meli

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