mercoledì 10 febbraio 2010

Siamo tutti colpevoli


Quello che è avvenuto oggi, l’inchiesta che ha posto in stato di arresto padre Carlo, Antonio, Aldo e alcuni migranti, è quanto di più assurdo e grottesco abbia mai visto nella mia vita. Non è questione di amicizia, né di garantismo, ma la portata delle accuse, le ricostruzioni fantasiose fatte in tv, le frasi del procuratore D’Agata contrastano con la certezza indissolubile di un’esistenza onesta, trasparente, votata generosamente agli altri. Un’accusa che non appare supportata da prove concrete, documentali, da passaggi di denaro certificati, chiari, ma da testimonianze e da qualche intercettazione che non ci dice nulla. Prostituzione? Accusa risibile che, se non fosse per il momento drammatico, susciterebbe più di una risata. Pensare al favoreggiamento della prostituzione a Bosco Minniti è diabolico e quantomeno ardito. Riduzione in schiavitù? In questa chiesa chiunque entra è padrone di casa, non ci sono capi e sottoposti, tutti insieme, italiani e stranieri, ci si siede sullo stesso tavolo, si vive insieme collaborando, ci si rispetta pienamente. Di cosa stiamo parlando? La magistratura farà il suo corso, ma mi auguro che non lo faccia con l’atteggiamento di chi vuole per forza condannare qualcuno. Le parole del procuratore D’Agata, rilasciate all’emittente catanese Telecolor, fanno rabbrividire. Il garantismo che egli ha usato per se stesso su accuse a cui nessuno di noi aveva creduto non vale quando ad essere sotto accusa sono gli altri?

Il suo sorriso, la sua certezza che si tratta di prove da cui è impossibile discolparsi, la sua convinzione che l’umanità di questa comunità e della sua guida fosse solo un paravento per loschi traffici, tutto ciò è inopportuno per chi dovrebbe usare la presunzione di innocenza come suo principio guida, ed è offensivo per tutti coloro che in quella parrocchia, ogni giorno, da anni costruiscono una società nuova, fatta di solidarietà, tolleranza, accoglienza vera, non legata a circuiti economici, ma ad uno spirito di fratellanza e di accompagnamento nei confronti di chi è rimasto indietro verso un futuro di inclusione.
Se padre Carlo, Antonio e Aldo sono colpevoli, allora lo siamo tutti.

Siamo colpevoli di amare l’altro come fosse nostro fratello.
Siamo colpevoli di non credere che in questa società se qualcuno fa del bene lo deve fare per forza per riceverne un tornaconto personale.
Siamo colpevoli di vivere in un tempo in cui la solidarietà è eversiva.
Siamo colpevoli di fare ciò che le istituzioni non fanno.
Siamo colpevoli di credere in una giustizia che invece di colpire chi sbaglia si ritorce contro chi la sostiene.
Siamo colpevoli di “stare sulle palle” a qualche ufficio della Questura che, qualche anno fa, con il vecchio questore, ci guardava con favore, apprezzando il fatto di essere punto di riferimento per molti migranti che altrimenti sarebbero condannati alla clandestinità e sparsi per il territorio nazionale come fantasmi senza nome.
Siamo colpevoli di non chiudere gli occhi e il cuore davanti a chi ha bisogno.
Siamo colpevoli di aver denunciato e segnalato quello che non ci sembrava giusto un’istituzione facesse.

Siamo colpevoli di non esser stati zitti, di aver protestato a muso duro contro l’arroganza, l’indifferenza, l’assenza delle istituzioni sul territorio e contro un clima nazionale che non ci piace e che abbiamo definito disumano, pericoloso.
Siamo colpevoli di non aver chiesto la carta d’identità morale a chi entra in una Chiesa per cercare riparo e accoglienza, in piena coerenza con lo spirito cristiano di cui in tanti, troppi in questo Paese si appropriano indebitamente, quando fa comodo, per poi oltraggiarlo nella vita di tutti i giorni, nelle proprie azioni e nel proprio lavoro.
Siamo colpevoli di solidarietà, di umanità, di esser soli contro un sistema più grande e forte di noi, capace di schiacciarci quando e come vuole.
Siamo colpevoli di non rassegnarci ad un’Italia che declina miseramente nella sua pochezza e arretratezza, nella sua ipocrisia e violenza.
Siamo colpevoli tutti, di tutto questo.

Allora che vengano ad arrestare tutti noi, con le accuse più assurde, mettendoci tutta la fantasia possibile per trovare il modo di colpirci. Ci costringano al silenzio, alla calunnia, all’esposizione al pubblico massacro, al dolore. Ma nessuno mai potrà darci quel colpo di grazia che incenerisce ogni cosa: la rassegnazione.
Mai come adesso abbiamo l’obbligo di compattarci e di dare un segnale forte, consapevoli che la parte giusta, in un Paese come il nostro, non può che essere minacciata e colpita.
Abbiamo fiducia nella magistratura, nonostante tutto, anche se siamo consapevoli che non abbiamo bisogno delle sentenze per conoscere l’innocenza di chi da sempre antepone l’aiuto agli altri alla propria stessa vita, senza ritorni economici, conducendo vite dure, fatte di lavoro e non di agi.
Per queste persone, per tutti coloro che ad esse somigliano, per le idee in cui crediamo allora sentiamo di dichiararci colpevoli, perché tra chi condivide questo destino di campo e questa idea di mondo, senza divise e poltrone dorate, non possono esserci distinzioni.

Profondamente indignato
Massimiliano Perna


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